Come bisce che s'intrecciano a creare radici in acqua e come falchi su uno scroscio d'ali dove l'aria è più alta e il respiro non arriva al più, s'eleva in spirale iperbole ellissi e mani adesso in forma umana dopo tanto essere stati animali e le nostre voci vecchie di barrito e nitrito guaiscono _bocca a bocca.
Lo squarcio è commiato Mentre l'alba fa sipario in apertura. Panorami d'anima dopo il dissesto, In punta di lacrima sulla gemma nascente. Strane, tacciono le cose.
S'increspa il desiderio dove la mancanza fa risacca. Il ricordo è di spuma argentea e appartiene all'onirico il risveglio di me Venere e nuova donna. Dal calesse d'una conchiglia il viaggio infinito Lungo la Memoria.
Quando nuda m'apro in vocali e la parola mi fa spasmo al centro del petto imperitura si contorce in crampo d'anima su uno iato ancòra disfatto con lente doglie si scioglie l'inchiostro e giunge alle caviglie incontro ai collassi della mia interiorità giù tra gli abissi con le lettere in quintessenza alfa e omega la china sia lungaggine di pensiero e sinossi nel parto delle mie parole.
Di tutte le leggerezze che mi fanno macigno tra la pelle vetrata e il senso che riempie del vanifico, deciduo senso delle non cose divento piastra fredda - e stridio di metalli - sulle pareti dell'onta
Sullo sfondo dell'inesistenza dipinto di carne sfumata tra le secche foglie d'alloro.
Quando tutte le mie labbra t'invocano ti divento dea scalza e Tu suolo di cristalli mi sanguino così dalla pianta al palmo mi lacrimo così dagl'occhi al cuore Il dolore non fu mai della mia caviglia schiava del tuo polso ma della catena slegata di questa stessa slogata In ginocchio a bocca aperta la lingua c'aspetta la pioggia.
Adesso io comincerei dalle pieghe delle palpebre dall'ultimo soffio in cima al crinale o dal picco d'un fiume e nell'altezza di mezzo vicino agli zigomi dov'è altura e collina lì ti bacerei là camminerei con te.
Di tutta questa rabbia dell'esser nata schiava due giri di cordone attorno al collo che sempre stringe il respiro adesso come fune che mi lega la caviglia al tavolo e non mi consente la fuga chissà se ci saranno ali d'acciaio a sollevare questo mio pesante mondo quando le vertebre faranno gancio ed il coraggio sarà uncino e tutto il tetto si aprirà a mostrare il cielo alto mentre io incollata a questo pavimento basso anche il passo mi apparirebbe volo.
La scheggia che si stacca dalla costa e vien meno per uscirmi insieme al siero delle mie essenze farmi colpo di mare davanti agli occhi nell'altezza d'improvvisa tempesta frangente a picco dallo scoglio di cielo
Mi faccio risacca sulle ciglia tremanti nel formidabile urlo udito furioso nel mio tagliente silenzio.