Passò strosciando e sibilando il nero nembo: or la chiesa squilla; il tetto, rosso, luccica; un fresco odor dal cimitero viene, di bosso. Presso la chiesa; mentre la sua voce tintinna, canta, a onde lunghe romba; ruzza uno stuolo, ed alla grande croce tornano a bomba. Un vel di pioggia vela l'orizzonte; ma il cimitero, sotto il ciel sereno, placido olezza: va da monte a monte l'arcobaleno.
Lontano da uccelli, da greggi, da paesane, io bevevo, rannicchiato in una brughiera, cinta da una selva di noccioli leggera, in verdi e tiepide foschie meridiane.
Che potevo bere in quella giovane Oïsa, muti olmi, cielo coperto, erba senza fiori. Che spillavo alla mia fiasca di colocasia? Un liquore d'oro, insulso, che dà sudori.
Cattiva insegna d'osteria sarei stato. Poi il temporale mutò il cielo, fino a sera. Furon laghi, pertiche, stazioni, una nera regione, e nella notte blu fu un colonnato.
L'acqua dei boschi moriva alla verginale sabbia, e il vento, dal cielo, ghiacciava acquitrini... Io, pescatore d'oro e di gusci marini, dire che non pensai di bere, come tale!
Mutando a vicenda la sorte, essi un giorno dimorano presso Zeus, il padre diletto; un altro, nelle cavità della terra, nei recessi di Terapne, compiendo un uguale destino. Questa vita scelse Polluce, più che essere in tutto un dio e abitare nel cielo, poi che era morto Castore in guerra. L'aveva trafitto Ida irato per i buoi, con la punta della lancia di bronzo. Dal Taigeto, spiando, Linceo lo scorse acquattato nel cavo di un tronco di quercia: ché di tutti i mortali egli aveva più acuto lo sguardo. Con corsa veloce subito lo raggiunsero, e ordirono in breve il grande misfatto. Ma dalle mani di Zeus una pena terribile patirono gli Afaretidi. Inseguendo, giunse presto il figlio di Leda; ed essi si opposero a lui presso la tomba del padre. Divelta di qui una pietra levigata, ornamento di Ade, la scagliarono contro il petto a Polluce; ma non lo schiacciarono né lo respinsero. Balzò egli con la lancia veloce, e immerse il bronzo nel fianco a Linceo. Contro Ida scagliò Zeus il suo fulmine, portatore di fuoco, fumoso: insieme essi arsero, in solitudine. Difficile è per i mortali lottare coi più forti. Sùbito il figlio di Tindaro tornò indietro presso il forte fratello: non morto ancora, ma per l'affanno scosso da rantoli convulsi lo trovò. Versando lacrime calde, tra i gemiti, gridò: "Padre Cronide, quale rimedio sarà ai miei dolori? Ordina anche a me, insieme a lui, la morte, o Signore. Per l'uomo privato dei suoi cari perduta è la gloria: nell'affanno, sono pochi i mortali che, fedeli, partecipano alle pene". Così disse. Zeus davanti gli venne e pronunciò queste parole: "Tu sei mio figlio; poi, congiuntosi alla madre tua l'eroe suo sposo stillo il seme mortale. Ma orsù, questa scelta io ti concedo: se evitata la morte e la vecchiezza aborrita, tu vuoi abitare con me nell'Olimpo, con Atena e con Ares dalla lancia nera, è possibile a te questa sorte. Ma se per il fratello combatti, e ogni cosa pensi dividere con lui in parte uguale, metà del tempo vivrai sotto la terra, e metà nelle dimore d'oro del cielo". Così parlò. E Polluce non pose alla mente un duplice pensiero: sciolse l'occhio e poi la voce di Castore dalla cintura di bronzo.
Al di là degli stagni, delle valli e dei monti, al di là dei boschi, delle nuvole e dei mari, al di là del sole, al di là dell'aria, al di là dei confini delle stellate sfere,
Tu, mio spirito, ti muovi con agilità e, come buon nuotatore che gode tra le onde, allegro solchi la profonda immensità con indocile e maschia voluttà.
Fuggi lontano dai morbosi miasmi, voli a purificarti nell'aria più alta, e bevi, come un puro liquido divino, il fuoco chiaro che colma spazi limpidi.
Le spalle alla noia e ai vasti affanni che opprimono col loro peso la nebbiosa vita, felice chi con ali vigorose si eleva verso campi sereni e luminosi;
Chi lancia i pensieri come allodole in libero volo verso il cielo del mattino, - chi si libra sulla vita e comprende senza sforzo il linguaggio dei fiori e delle cose mute!
Verrò quando sarai più triste, steso nell'ombra che sale alla tua stanza; quando il giorno demente ha perso il suo tripudio, e il sorriso di gioia è ormai bandito dalla malinconia pungente della notte.
Verrò quando la verità del cuore dominerà intera, non obliqua, ed il mio influsso si di te stendendosi, farà acuta la pena, freddo il piacere, e la tua anima porterà lontano.
Ascolta, è proprio l'ora, l'ora tremenda per te: non senti rullarti nell'anima uno scroscio di strane emozioni, messaggere di un comando più austero, araldi di me?
In quel selvaggio abisso, grembo della Natura e, forse, tomba, che non è mare o sponda, aria né fuoco, ma lor cause pregnanti in sé commiste confusamente, in una lotta eterna, se il Fattore Possente non costringe queste oscure materie a farsi mondi, nell'abisso selvaggio, cauto, Satana sostava all'orlo dell'Inferno, e vide, e ponderò il viaggio...
Una delle cose più terribili è davvero stare a letto una notte dopo l'altra con una donna che non hai più voglia di scopare.
Invecchiano, non sono più tanto belle – tendono persino a russare, buttarsi giù.
Così, a letto, a volte ti giri, il tuo piede tocca il suo – Dio, che orrore! – e la notte è là fuori dietro le tendine e insieme vi suggella nella tomba.
E la mattina vai in bagno, parli, attraversi il corridoio, dici strane cose; le uova friggono, partono i motori.
Ma seduti l'uno di fronte all'altro hai 2 estranei che si ficcano in bocca il pane tostato che si bruciano col caffè bollente la gola risentita e l'intestino.
In dieci milioni di case americane è lo stesso – vite stantie appoggiate l'una all'altra e nessun posto dove andare.
Sali in macchina e vai a lavorare e là ci sono degli altri sconosciuti, quasi tutti mogli e mariti di qualcun altro, e oltre alla ghigliottina del lavoro, flirtano, scherzano r si danno pizzicotti, tendendo qualche volta a farsi in qualche posto una rapida scopata – a casa non possono farlo – e poi tornano a casa ad aspettare il Natale o il Labor Day o la domenica o qualcosa.
Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue sò le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimo, se confano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mì Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione. Laudato sì, mì Signore, per sora luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato sì, mì Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento. Laudato sì, mì Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato sì, mì Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato sì, mì Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato sì, mì Signore, per quelli che perdonano per lo tuo amore et sostengo infirmitate et tribulatione. Beati quelli che'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato sì, mì Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente po' scappare: guai acquelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue sanctissime voluntati, ca la morte secunda no'l farrà male. Laudate e benedicete mì Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.
Sono cresciuto in una terra strana dopo che hai messo all'ombra la mia luce, quasi non mossi piede dalla soglia della mia meraviglia per il dio nuovo cui tu m'opponevi. In me cresceva il Dio dei miei domini (ero ancora ragazzo) ma tu mi hai rotto l'urlo ai vorticosi margini della bocca, l'urlo della potente giovinezza. Mamma, io ti ringrazio dalla rigida tomba entro cui siede il mio pensiero finalmente puro. Ora vedo che a forza mi hai strappato il verde degli amari desideri, mi hai edificato come l'architetto sapiente che ritoglie chiari miti dalle antiche macerie.
Nacqui umana rovina come tutti, tu mi hai intessuta un'ala senza geli...