Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

L'assiuolo

Dov'era la luna? Ché il cielo
notava in un'alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù:
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com'eco d'un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento;
squassavano le cavallette
finissimi sistri d'argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s'aprono più?... );
e c'era quel pianto di morte...
chiù...
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Elogio della rosa (Adone)

    Poi le luci girando al vicin colle,
    dov'era il cespo che ' bel piè trafisse,
    fermossi alquanto a rimirarlo, e volle
    il suo fior salutar pria che partisse;
    e vedutolo ancor stillante e molle
    quivi porporeggiar, così gli disse:
    "Sàlviti il Ciel da tutti oltraggi e danni,
    fatal cagion dei miei felici affanni:
    Rosa, riso d'Amor, del Ciel fattura,
    rosa del sangue mio fatta vermiglia,
    pregio del mondo e fregio di natura,
    de la Terra e del Sol vergine figlia,
    d'ogni ninfa e pastor delizia e cura,
    onor de l'odorifera famiglia,
    tu tien d'ogni beltà le palme prime,
    sovra il vulgo dè fior Donna sublime.
    Quasi in bel trono Imperatrice altera
    siedi colà su la nativa sponda.
    Turba d'aure vezzosa e lusinghiera
    ti corteggia d'intorno e ti seconda;
    e di guardie pungenti armata schiera
    ti difende per tutto, e ti circonda.
    E tu fastosa del tuo regio vanto
    porti d'or la corona e d'ostro il manto.
    Porpora dè giardin, pompa dè prati,
    gemma di primavera, occhio d'aprile,
    dite le Grazie e gli Amoretti alati
    fan ghirlanda a la chioma, al sen monile.
    Tu, qualor torna a gli alimenti usati
    ape leggiadra o zeffiro gentile,
    dài lor da bere in tazza di rubini
    rugiadosi licori e cristallini.
    Non superbisca ambizioso il Sole
    di trionfar fra le minori stelle,
    che ancor tu fra i ligustri e le viole
    scopri le pompe tue superbe e belle.
    Tu sei con tue bellezze uniche e sole
    splendor di queste piagge, egli di quelle.
    Egli nel cerchio suo, tu nel tuo stelo,
    tu Sole in terra, ed egli rosa in cielo.
    E ben saran tra voi conformi voglie:
    dite fia '1 Sole, e tu del Sole amante,
    ei de l'insegne tue, de le tue spoglie
    l'aurora vestirà nel suo levante.
    Tu spiegherai nè crini e ne le foglie
    la sua livrea dorata e fiammeggiante,
    e per ritrarlo ed imitarlo appieno
    porterai sempre un picciol Sole in seno. "
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Sarah Brown

      Maurizio, non piangere, non sono qui sotto il pino.
      L'aria profumata della primavera bisbiglia nell'erba dolce,
      le stelle scintillano, la civetta chiama,
      ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia
      nel nirvana beato della luce eterna!
      Và dal cuore buono che è mio marito,
      che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d'amore: -
      digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui, hanno foggiato il mio destino — che attraverso la carne raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.
      Non ci sono matrimoni in cielo,
      ma c'è l'amore.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Il desiderio di ricchezza del sottoproletariato romano

        Li osservo, questi uomini, educati
        ad altra vita che la mia: frutti
        d'una storia tanto diversa, e ritrovati,
        quasi fratelli, qui, nell'ultima forma
        storica di Roma. Li osservo: in tutti
        c'è come l'aria d'un buttero che dorma
        armato di coltello: nei loro succhi
        vitali, è disteso un tenebrore intenso,
        la papale itterizia del Belli,
        non porpora, ma spento peperino,
        bilioso cotto. La biancheria, sotto,
        fine e sporca; nell'occhio, l'ironia
        che trapela il suo umido, rosso,
        indecente bruciore. La sera li espone
        quasi in romitori, in riserve
        fatte di vicoli, muretti, androni
        e finestrelle perse nel silenzio.
        È certo la prima delle loro passioni
        il desiderio di ricchezza: sordido
        come le loro membra non lavate,
        nascosto, e insieme scoperto,
        privo di ogni pudore: come senza pudore
        è il rapace che svolazza pregustando
        chiotto il boccone, o il lupo, o il ragno;
        essi bramano i soldi come zingari,
        mercenari, puttane: si lagnano
        se non ce n'hanno, usano lusinghe
        abbiette per ottenerli, si gloriano
        plautinamente se ne hanno le saccocce
        piene.
        Se lavorano - lavoro di mafiosi macellari,
        ferini lucidatori, invertiti commessi,
        tranvieri incarogniti, tisici ambulanti,
        manovali buoni come cani - avviene
        che abbiano ugualmente un'aria di ladri:
        troppa avita furberia in quelle vene...

        Sono usciti dal ventre delle loro madri
        a ritrovarsi in marciapiedi o in prati
        preistorici, e iscritti in un'anagrafe
        che da ogni storia li vuole ignorati...
        Il loro desiderio di ricchezza
        è, così, banditesco, aristocratico.
        Simile al mio. Ognuno pensa a sé,
        a vincere l'angosciosa scommessa,
        a dirsi: "È fatta, " con un ghigno di re...
        La nostra speranza è ugualmente ossessa:
        estetizzante, in me, in essi anarchica.
        Al raffinato e al sottoproletariato spetta
        la stessa ordinazione gerarchica
        dei sentimenti: entrambi fuori dalla storia,
        in un mondo che non ha altri varchi
        che verso il sesso e il cuore,
        altra profondità che nei sensi.
        In cui la gioia è gioia, il dolore dolore.
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          Scritta da: underdog
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Elegia

          Padre vinto nel sonno
          oscuro e lontano,
          il bambino ti sveglia con la mano.
          Ancora nato nel tuo sogno chiede
          ricordo dell'età che ti correva
          giovane agli occhi,
          mesto al sollievo della sua sembianza
          non vuole che tu creda
          la morte buia nell'eternità.
          Era così soave il cielo intorno,
          a respiro e a cadenza della sera
          tu mi portavi in braccio al sonno
          fresco di primavera.
          Forse è questo la morte, un ricordare
          l'ultima voce che ci spense il giorno.
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            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Sulle dune

            A me non piace il vano dizionario
            delle frasi e vocaboli d'amore:
            "Sei mio". "Son tua". "Io t'amo!". "Tuo per sempre".

            A me non piace essere schiavo. Io guardo
            la donna bella in fondo alle pupille
            e le dico: "Stanotte. Sai, domani
            è un altro giorno, nuovo e bello. Vieni.
            Portami una follia nuova, trionfale.
            All'alba me ne andrò via per cantare".

            L'anima mia è semplice. Nutrita
            fu dal vento salmastro e dall'aroma
            resinoso dei pini. Ella è segnata
            dalle impronte medesime che rigano
            la pelle segaligna del mio viso,
            che è bello della squallida bellezza
            delle fredde marine e delle dune.

            Così pensavo lungo la frontiera
            di Finlandia, la lingua decifrando
            strana nei verdi occhi dei Finni scialbi.
            C'era gran pace. Accanto alla banchina
            un treno pronto accese fuoco e fumo.
            Pigra la russa guardia doganale
            riposava su un cumulo di sabbia
            erto, dove finiva il terrapieno.
            Là cominciava un'altra terra, e muta
            una chiesa ortodossa contemplava
            lo sconosciuto estraneo paese.

            Così pensavo. Ed ella sopraggiunse,
            si fermò sulla china: erano gli occhi
            rossi di sabbia e sole. Ed i capelli,
            unti come la resina dei pini,
            cadevan sulle spalle in flutti azzurri.
            S'accostò. S'incrociò il suo ferino
            sguardo col mio sguardo ferino. Rise
            ad alta voce. E gettò contro a me
            un ciuffo d'erba e un pugno d'aurea sabbia.
            Poi con un balzo risalì. Scomparve,
            galoppando al di là del terrapieno.

            La inseguii di lontano. Mi graffiavano
            le felci il volto. Insanguinai le dita,
            mi lacerai il vestito. Ma correvo
            urlando come belva e la chiamavo:
            e la mia voce era suon di corno.
            Ma lei, delineando un'orma lieve
            sulle dune friabili, scomparve
            fra le trame notturne degli abeti.

            Ora io giaccio anelando sulla sabbia.
            Ma ancora nelle mie rosse pupille
            ella corre, ella ride: ed i capelli
            ridono ancora, ridono le gambe,
            ride al vento la veste nella corsa.

            Io giaccio e penso: oggi sarà notte.
            Domani sarà notte. Rimarrò
            qui finché non l'agguanti come fiera
            o col suono di corno della voce
            non le tagli la fuga. E non dirò:
            "Mia. Sei mia". Purché lei mi dica:
            "Son tua! son tua!"
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