É bello, amore, sentirti vicino a me nella notte, invisibile nel tuo sogno, seriamente notturna, mentr'io districo le mie preoccupazioni come fossero reti confuse.
Assente il tuo cuore naviga pei sogni, ma il tuo corpo così abbandonato respira cercandomi senza vedermi, completando il mio sonno come una pianta che si duplica nell'ombra.
Eretta, sarai un'altra che vivrà domani, ma delle frontiere perdute nella notte, di quest'essere e non essere in cui ci troviamo
qualcosa resta che ci avvicina nella luce della vita come se il sigillo dell'ombra indicasse col fuoco le sue segrete creature.
Stella, mia unica stella, nella povertà della notte sola, per me, solo, rifulgi, nella mia solitudine rifulgi; ma, per me, stella che mai non finirai d'illuminare, un tempo ti è concesso troppo breve, mi elargisci una luce che la disperazione in me non fa che acuire.
Avrei voluto sentirmi scabro ed essenziale siccome i ciottoli che tu volvi, mangiati dalla salsedine; scheggia fuori dal tempo, testimone di una volontà fredda che non passa. Altro fui: uomo intento che riguarda in sé, in altrui, il bollore della vita fugace uomo che tarda all'atto, che nessuno, poi, distrugge. Volli cercare il male che tarla il mondo, la piccola stortura d'una leva che arresta l'ordegno universale; e tutti vidi gli eventi del minuto come pronti a disgiungersi in un crollo. Seguìto il solco di un sentiero m'ebbi l'opposto in cuore, col suo invito; e forse m'occorreva il coltello che recide, la mente che decide e si determina. Altri libri occorrevano a me, non la tua pagina rombante. Ma nulla so rimpiangere: tu sciogli ancora i groppi interni col tuo canto. Il tuo delirio sale agli astri ormai.
O cipresso, che solo e nero stacchi dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto irto di cardi e stridulo di biacchi:
in te sovente, al tempo delle more, odono i bimbi un pispillìo secreto, come d'un nido che ti sogni in cuore.
L'ultima cova. Tu canti sommesso mentre s'allunga l'ombra taciturna nel tristo campo: quasi, ermo cipresso, ella ricerchi tra què bronchi un'urna.
Più brevi i giorni, e l'ombra ogni dì meno s'indugia e cerca, irrequieta, al sole; e il sole è freddo e pallido il sereno.
L'ombra, ogni sera prima, entra nell'ombra: nell'ombra ove le stelle errano sole. E il rovo arrossa e con le spine ingombra
tutti i sentieri, e cadono già roggie le foglie intorno (indifferente oscilla l'ermo cipresso), e già le prime pioggie fischiano, ed il libeccio ulula e squilla.
E il tuo nido? Il tuo nido?... Ulula forte il vento e t'urta e ti percuote a lungo: tu sorgi, e resti; simile alla Morte.
E il tuo cuore? Il tuo cuore?... Orrida trebbia l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo, di nebbia nera tra la grigia nebbia.
E il tuo sogno? La terra ecco scompare: la neve, muta a guisa del pensiero, cade. Tra il bianco e tacito franare tu stai, gigante immobilmente nero.
Benedetto sia'l giorno e'l mese e l'anno e la stagione e'l tempo e l'ora e'l punto e'l bel paese e'l loco ov'io fui giunto da'duo begli occhi che legato m'ànno;
E benedetto il primo dolce affanno ch'ì ebbi ad esser con Amor congiunto, e l'arco e le saette ond'ì fui punto, e le piaghe che'nfin al cor mi vanno.
Benedette le voci tante ch'io chiamando il nome de mia donna ò sparte, e i sospiri e le lagrime e'l desio;
e benedette sian tutte le carte ov'io fama l'acquisto, e'l pensier mio, ch'è sol di lei; si ch'altra non v'à parte.
Le trombe argentee squillarono nella Cupola: La gente cadde in ginocchio a terra, emozionata: E recato sul collo degli uomini io vidi, Come un gran Dio, il Santo Signore di Roma. Sacerdotale, egli portava una veste più bianca della spuma, E, regale, si paludava in rosso maestoso, Tre corone d'oro gli si levavano alte sul capo: In splendore e in luce il Papa passò. Furtivamente il mio cuore ripercorse ampi deserti d'anni Fino a Uno che vagò presso un mare solitario, Ed invano cercò un luogo di riposo: "Le volpi han tane, e ogni uccello ha il nido. Io, solo, io debbo vagare stanco, Piagarmi i piedi, e bere vino e sale di lacrime".
Se vuoi lasciarmi fallo pure ma in un giorno di pioggia cosi non mi vedrai piangere Se vuoi lasciarmi fallo pure ma in un giorno di vento cosi non mi vedrai tremare Se vuoi lasciarmi fallo pure ma in un giorno d'autunno cosi non mi vedrai morire.
Lamentele infime e triviali, costantemente ripetute, possono far ammattire un santo, per tacere di un bravo ragazzo qualunque (me) e il peggio è che chi si lamenta nemmeno si accorge di farlo a meno che non glielo dici, e perfino se glielo dici non ci crede. E così non si conclude niente ed è solo un altro giorno sprecato, preso a calci, mutilato mentre il Buddha siede nell'angolo e sorride.