Cantavo al mio bambino, per non fargli sentire l'eco dei fucili in piazza grande. Lo tenevo stretto al cuore per non morire. Tremando si addormentò. Angelo mio quanto soffrire, in questa terra meravigliosa e affranta dove la gente è ormai stanca di tanto subire. Soli io e te, mi bastava guardarti, tutto il mondo fuori, e ad ogni bacio, ad ogni carezza avere la certezza che quell'incubo presto sarebbe finito, e che Il sogno ormai di averti si era realizzato, il desiderio di sentirmi donna e mamma, il mio cuore aveva pacato. Ricordo ancora la voglia di tornare, di arrivare finalmente a casa, e non ti finito mai di raccontare, di quell'uccello dalle ali possenti che ci riportava, sopra cielo e mare dove cominciava il sole.
Angeli a volte diavoli, lingue di fuoco e tanta dolcezza, caparbie e volitive tante lacrime, tanta tenerezza. Malinconia da vendere, sorrisi da distribuire, forza da contenere. Dolci compagne, acerrime rivali, segreti da scoprire, donne da amare.
La voglia di sentirti pienamente donna e la paura, ancora in te è continua guerra, non affrontare, è dura, non calcolare, sarà un'altra avventura? Che vuoi che sia, lasciati andare, non serve sia per sempre, comincia ad amare, si pensa sempre troppo e si lascia stare, per quanto vuoi negarti all'amore, non hai paura d'invecchiare? Ancora bella, dolce, seducente, ma la paura di essere coinvolta, di dare alla tua vita quella svolta ti fa tremare, ti sconvolge la mente sola nella tua stanza, rimani a pensare... Vale la pena forse di tentare, buttarsi e perdere la testa oppure raccogliere i cocci della tua vita e di quello che resta.
Per tanto amore la mia vita si tinse di viola e andai di rotta in rotta come gli uccelli ciechi fino a raggiungere la tua finestra, amica mia: tu sentisti un rumore di cuore infranto
e lì dalle tenebre mi sollevai al tuo petto, senz'essere e senza sapere andai alla torre del frumento, sorsi per vivere tra le tue mani, mi sollevai dal mare alla tua gioia.
Nessuno può dire ciò che ti devo, è lucido ciò che ti devo, amore, ed è come una radice, nativa d'Araucania, ciò che ti devo, amata.
È senza dubbio stellato tutto ciò che ti devo, ciò che ti devo è come il pozzo d'una zona silvestre dove il tempo conservò lampi erranti.
Per molte genti e molte acque di mare portato, vengo, fratello, a queste esequie dolorose per consegnarti l'estremo dono di morte e invano parlare, alla tua muta cenere, poi che la sorte te, proprio te, mi ha rapito, ah infelice fratello, crudelmente strappatomi. Ed ora queste offerte, che per l'antico costume dei padri, ti reco, triste dono alle tombe, accoglile, grondanti di molto pianto fraterno. E per l'eternità addio, fratello, addio.
Sei riuscito a spingermi su per la salita, raggiungendo il culmine, quella voglia infinita, di te che tanto ho desiderato, amarti non è stato mai peccato. Abbiamo scalato insieme quella vetta, senza troppa fretta, e finalmente liberi ci siam guardati intorno, su verdi monti, e cieli tersi, irrimediabilmente ci siamo persi.
S'alzò la gonna per salir sul carro, tra i cesti per raccoglier l'uva. Avea le cosce ben tornite e le labbra di vino saporite, coperta era di mosto, mentre l'uva pestava, tutta di sangue grondava, fin nel suo seno turgido, c'era uva vermiglia, una meraviglia. Da un gran calore l'aria fu pervasa, l'uomo che svuotava i tini, la guardava, e mosto e amore, complici nel cuore, un bacio ardente al calor del sole, tanta voglia di lei, poi non capì più niente, ma a sera si trovarono stretti in quell'abbraccio tra l'euforia del mosto profumato, non fu peccato.
Sonotuttaundifetto, chi l'avrebbe detto ma mi amo da morire, dovrei dimagrire, potrei meglio, le persone moleste, digerire ma non mi resta che continuare a vivere, subire e passare al resto. Sempre tardi per poter capire che c'è di peggio come morire, ma per me è presto. Sono sull'onda fortunata, sono sulla rima baciata, mi ritrovo a far follie perché di questa vita mi sono un po' scocciata. Cosa resta a me tuttaundifetto, prendermela comoda, non più di petto, le situazioni strane le lascio agli altri perché non voglio più intervenire, chi me lo fa fare, finalmente appagata, me la posso godere!
Una falce assassina ha reciso quel piccolo fiore. Un vento l'ha preso e portato con sé lontano lontano. S'è posato su un prato; è volato, un bambino l'ha preso scambiando per bianca farfalla. Ha aperto la mano ed il vento l'ha portato con sé lontano lontano. È volato nel cielo, liberando i suoi piccoli semi, spargendoli ovunque su un prato dove terra li ha accolti, curati e nutriti. Sono nati più forti nei cuori, tanti piccoli fiori.