S'aprì lo sguardo ampio della Luna, posò le ciglia bianche dei riflessi dove vide nel sogno prima ancora che fosse nata, apparsa sul mio sguardo, la sepoltura suicida del Sole, nella tomba del lago, in una terra che sussurrò, cullandolo, preghiere d'onde, neonato a un aldilà d'abisso.
Non potere sapere l'esistenza di volti con le guance su cui possano cadere scivolare dolcemente le lacrime di ogni suo riflesso, sentire di vertigini aggrappato alla corda di un raggio teso giù, discensione ch'è un urlo disumano, ed il mare ad attenderlo ch'è suolo, fin dalla caduta della sua nascita, un suicidarsi col seppellimento, uno zappare ch'è risucchiamento, un lutto in superficie ch'è preghiera che mormora frasi di corpi - l'onde - corteo che non calpesta la sua bara, il cimitero è tutta la sua tomba, la Notte è decomposizione eterna, è come Dio che si veste di nero e si piega ad andare nel profondo, come un padre ch'è interiormente madre.
S'aprì la piaga estrema della luce, e con il grido della sua materia non chiese di esser mai rimarginata, volle che io vedessi chiaramente una purezza più alta del cielo, un'uniformità serena vinta, l'origine di un campo di spighe da cui far nascer l'ostia della notte, la pelle sacra che si denudò, il futuro interiore delle ossa, il cuore bianco dell'insonnia aperto come un occhio di cieco a illuminare l'immensità vacillante del buio, preda azzannata da fauci di raggi, preghiera di caduta che ebbe l'amen silenzioso nel lago di una tomba.
Palpebre aperte a rivelare il buio, un'immensa pupilla di terreno, un defunto dovunque universale, i fiori lacrimanti delle stelle, il lutto intermittente della luce, un'obbedienza a una chiamata netta, il disseppellimento della Luna, il cranio di una suora ch'è risorto a illuminare con la cecità la perdizione dell'insonnia umana, che cammina carponi per le strade, e a cui dona quel latte ch'è la luce, neonati in cerca delle proprie madri nell'abbandono esterno della vita.
Il Sole in me vissuto, io lo uccisi sentendolo gridare in lontananza nel silenzio interiore dell'abisso e fu l'aborto del feto di un sogno, fu l'osservare che man mano spensi, lasciando le mie ceneri sul letto, ed avvampò quell'incendio di buio che mi fu sempre attorno lussurioso della mia solitudine racchiusa, un uscire ed un passeggiare in cerca del punto in cui s'eresse la sua tomba nel lungo cimitero della strada, Dio fu come se si sacrificasse una mano di sangue nell'aurora, aperta alla ferita dell'immenso, gettasse il sale delle stelle giunte a morire fin qui, resuscitando in sogno all'altra metà della Terra, e rivedessi rivivere Lui nell'essenza di un cuore circolare stare sul trono della sua corona, invitare le palpebre a sedersi e donare le ricchezze dei raggi e perdere il suo sangue gocce a gocce, trovando medicazione nell'acqua.
Sbarre di luce della nostalgia nemmeno ti fermarono dal sogno dell'evadere da quel Paradiso che divenne un Inferno perbenistico: fu così che il di fronte fu uno stagno in cui pensare fughe col riflesso ch'era un prolungamento del tuo corpo, non avesti la vocazione al buio, eri già impura e fuori dal convento senza spazio del tuo tempo notturno.
E tutto finalmente si ripristina: quando sul volto bagnato del lutto scivola l'ultima lacrima d'osso, sul lago senza sogni della pietra, cade all'Inferno e non ritorna indietro il figlio di un riflesso ripudiato da suo Padre ch'è soprattutto Madre, in una folla solitaria sorge nell'aldilà del Tempo quella cenere di luce, sparsa ai venti dell'insonnia, preludio della fenice del Sole.
Punizione del Tempo incarcerarsi dietro la sbarra unica del buio, e lasciare la vita della luce, come un vestito seppellito in mare, all'Inferno della sottomissione, nudare il volto puro delle ossa, affacciarsi a riflettersi è pentirsi.
Solitudine d'ossa accerchiate dal buio, come un volto di suora nel cappuccio, ch'è apparsa camminando nel chiostro dello sguardo, un delitto da confessare al vento, la libertà della pelle di luce che fu perduta nella sepoltura di una tomba in preghiera ininterrotta, il Tempo nello spazio volle farsi una cella di tenebre e potenza di materiale di una sola sbarra.
I Allora morirò, e sceglierò come mia bara il mare, cadrà come una solitaria lacrima il colore del lutto con la Notte scivolerà pian piano in questo Tempo, sulla guancia di tutto l'universo, gli occhi ardenti dei miei cari saranno in questa chiesa ch'è l'oscurità tutt'una scia di ceri a consumarsi, la preghiera del loro esserci stati, ricostruirà nei pezzi l'interezza, sarà la luce un pianto, testimone di quello che son stato, riprodotto.
II La tenebra di un essere ch'è l'Universo non oscura tutto, nella loro miseria illimitata, e nell'ora più buia ch'è non ora, ma diverse, tantissime, incontabili, non avranno paura le circondi l'animo della Morte onnipresente con la carne di un colore di lutto, i sentimenti della cecità, del sonno, della palpebra abbassata, del ciglio ch'è lasciato solo avanti, della disperazione del mutismo, saranno esorcizzati dalle stelle, lacrime che faranno da pupille, ceri che fungeranno da preghiere.