Figli di una generazione Uomini della continua lotta camminano nel fumo e nella nebbia arrampicati sulle schegge dei muri. Le canne grigie puntate sui pensieri e le marce come cordoni ombelicali per servire il popolo. Le mani si stringono le tempie riempiono i polmoni di rabbia serpeggia la morte nel volo delle bottiglie. Si diffonde la luce della comune si divulga con sigarette e mozziconi brulicanti ogni parola ha la forza di un proiettile. Nessun suono spara abbastanza per la sordità del tempo e questo tempo non risparmia i sogni non coltiva martiri e seppellisce gli eroi. La propaganda delle risposte imbavagliate con i pugni allo stomaco ribelle e il vomito dell'odio e del dileggio. Figli di una generazione canti rubati per niente e troppi silenzi nelle bare mute.
** riflessione di un estremista degli "anni di piombo"
Palline nere sull'albero dell'indifferenza cioccolatini stremati dopo lunghi giorni di cammino piccole luci nell'esodo della disperazione. Sotto l'albero le mosche come fiocchi sui regali sciamano sopra corpi di mamme bambine dentro la pelle virgulta del loro amorino. Saltano gli occhi rovesciati come il miele sulle nostre belle tavole imbandite ci riportano in sella al confine dell'odio. Passano i pastori di questa cecità brandiscono il macete del genocidio poi si fanno dimenticare in qualche pagina nascosta di quotidiano. Il Natale di Goma.
** Città di confine tra Zaire e Ruanda dove un esercito di profughi si sposta e vaga senza meta alcuna, in un genocidio assurdo tra etnie hutu e tutsi.
Non v'è cosa che l'uomo non possa aspettarsi, o negare giurando, o che desti stupore, da che Zeus, il padre degli dèi nell'Olimpo, fece notte nel mezzo del giorno, occultando la luce al sole splendente. E una triste paura sugli uomini venne. Tutto da allora è degno di fede, tutto dall'uomo può essere atteso: nessuno di voi si stupisca, nemmeno se vede le fiere scambiar coi delfini il pascolo marino, e che ad esse le onde echeggianti del mare siano più gradite della terra, così come ai delfini il monte boscoso.
Pioggia di guerra sulle teste dei soldati Nel baratro di una guerra da cani Pelle segnata e ferita Sguardi in fuga oltre ogni frastuono
Pioggia di guerra sulle teste dei bambini Con il peso dell'odio negli occhi Giochi di guerra fuori nei cortili Ronzio di mosche su orecchie sorde e bocche di fame
Pioggia di guerra su corpi nudi di donne Violenza carnale senza passione Urlo di paura sibilo di proiettile Al di là della linea di confine.
Pioggia di guerra sulle case di periferie Bruciate in attimi di lucido bang umano Bomba odio senza avviso E distruzione intorno alla fattoria di Bradin
Pioggia di guerra Sul cortile della stazione Treni in fiamme sui ponti di ferro Crateri e buche nelle strade deserte Acqua veleno da Pristina a Novi Sad
Pioggia di guerra Bagnati di odio Avanzano eserciti fantasma Senza un nemico da scovare Senza bersagli da colpire Senza fiori da regalare
Pioggia di guerra sui carri che vagano nei campi In file interminabili di speranza e fatica Oltre ogni muro di indifferenza La sera sugli altipiani tende e stracci Chiazze di dolore perse in un lembo di terra ferita
Pioggia di guerra Su questa terra di nessuno tra una parte e l'altra del mare Terra contesa col sangue di corpi in pace C'è pioggia negli sguardi stanchi e tristi con ancora un pezzo di vita da buttare
pioggia di piombo pioggia di fuoco pioggia di odio pioggia di nulla
bagnati da una pioggia assassina senza più vita da vivere sono uomini e donne
Sei comparsa al portone in un vestito rosso per dirmi che sei fuoco che consuma e riaccende.
Una spina mi ha punto delle tue rose rosse perché succhiassi al dito, come già tuo, il mio sangue.
Percorremmo la strada che lacera il rigoglio della selvaggia altura, ma già da molto tempo sapevo che soffrendo con temeraria fede, l'età per vincere non conta.
Era di lunedì, per stringerci le mani e parlare felici non si trovò rifugio che in un giardino triste della città convulsa.
Avanzerò per critica per la fallibilità di tutte le mie congetture per demarcare l'assoluto tempo dell'inspiegato con la prospettiva di una vita di ipotesi confutate grazie sig. Popper**
Seduto sul greto di questo fiume torto che scorre anonimo e perso, sono solo, senza i miei amati denti da latte attorno, unico senso, ingombrante aspettativa; e l'eco non giunge di temerarie madri, né il silenzio di fedeli compagne.
Sono solo come un cactus e da questo rigo d'acqua piango la sorte di sponde separate.
Verità vecchie e nuove, come pesci, tra le mani mi scivolano, filando, non le ripescherò più.
Fiume dannato!
Questo incessante andare, moto castrante ti vorrei gelare, tanto da unire questo mio margine: ingannevole solidità tra di noi.
Natura spoglia perché non mi doni il volto noto?
Una bigia prende il volo tremato momento.
Sono solo e certo su questo greto che l'alveo temuto non tenterai intraprendere per giungermi accanto.