Poesie personali


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie personali)

Non m'importa

Che senso ha coprirmi di attenzioni
proprio ora che mi stai lasciando?
E perché continui a cucinare
che non abbiamo neanche voglia di mangiare?

Da dietro ti guardo di sfuggita
mentre tu trambusti tra i fornelli,
vedo il tuo collo bianco e il tuo codino
e le tue gambe sottili di bambina;
e il cuore mi si gonfia di tristezza.

Poi ti giri e nel tuo viso contratto
leggo una dura ostinazione
e da un puntino nero della pelle
che non ti avevo mai notato prima
sembra sprizzare fuori il tuo rancore.
Non riesco a capire cosa ho fatto
per suscitare un odio così forte.

Tuttavia mi prepari il caffelatte
col pane raffermo, che a me piace,
cosa che tu mai facevi prima;
mi sembra un gesto pietoso come quando
si offre un lauto pranzo al condannato
prima di trascinarlo dal suo boia.

Che me ne importa a me del caffelatte
se ora tu vuoi andare via?
Che importa a me di lavorare,
che m'importa dei soldi e della roba?
Che m'importa di finire sotto un camion,
che m'importa di cadere da un ponteggio,
che m'importa di morire per un cancro
se ora vuoi andare via?
Non m'importa, non m'importa,
non m'importa proprio niente.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie personali)

    Ultima poesia

    La lebbra ha devastato il tuo bel volto
    che ora è nascosto da una pezza,
    ti conosco soltanto dai tuoi occhi
    miopi che mi guardano con astio.

    Il tarlo del tempo corrode i miei ricordi
    e di ciò che mi fu speranza e amore
    rimane un pugno di cenere amorfa
    spazzata via dal vento inesorabile.

    Oh il vento! Porti via anche la polvere
    del mio corpo corrotto dalla morte,
    mulinando cancelli ogni mia traccia.
    Di me più non rimanga nulla.

    Soltanto quando avrai dimenticato
    la mia bocca piena di vermi,
    tu riderai fuggendo il mio ricordo
    fastidioso come insetto da schiacciare.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie personali)

      Contrasto

      Tornano le notti tiepide di aprile,
      o amore, e nuovamente la luna
      batte sul mio vaso di viole soavemente
      e su le irte siepi fiorite
      di rovo e biancospino.
      Lievi si dischiudono intanto,
      come rose tra spine, i nostri
      sogni d'amore,
      così come vedremo
      fiorire la felicità
      in una forse imminente primavera.

      Si, nuovamente la luna
      si riflette nei torbidi miei occhi,
      si specchia nei pantani,
      e inutilmente
      vuoi strappare la gramigna dal mio cuore
      con le tue piccole mani.
      Ma se l'arido stelo dell'ortica
      che nasce fra le crepe della pietra
      tu vedi fiorire a primavera,
      anche la serpe
      si scioglie a lente spire dal letargo;
      e il mio cuore si gonfia come un rospo,
      perché l'innocenza è perduta
      e il bene non è
      che l'assenza del male.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie personali)

        Bestemmia

        come le scintille che dal legno
        che arde rapide sprizzano
        così le nostre vite per un attimo
        di odio e amore si accendono
        e svaniscono in un vortice di fumo

        così pure gli infiniti universi
        durano un tempo effimero
        che a noi pare interminabile
        e irresistibilmente
        sono attratti in un orrido imbuto

        oh tu, se esisti
        oltre lo spazio e il tempo
        e origini questo caos
        e contempli l'inutile dolore
        di ogni vita,
        la nascita e la morte,
        la pianta che germoglia e rinsecchisce,
        cessa, ti prego, il tuo gioco perverso
        e riducimi in polvere insensibile.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie personali)

          L'ippocastano malato

          Da dove viene questa larva che s'insinua
          fra le tenere foglie dei castani
          amari e invisibile ne succhia
          la linfa e le lascia secche
          e attorcigliate, come in un precoce
          autunno? E questa pianta che morendo
          impazzisce, nei suoi rami bassi
          rigetta nuove foglie e alcuni
          grappoli di sterili fiori, quasi fosse
          ingannata dal pallido sole
          che non riscalda e tristemente prelude
          alle imminenti gelate dll'inverno.

          Da dove viene questo amore
          così fuori stagione, che rinasce
          nel cuore di un vecchio solo e disilluso?
          È forse la paura della morte
          che mi fa scoppiare nella testa
          questa insana pazzia, perché nulla
          mi può ingannare, se ragiono.
          Oppure è il mio solito bisogno
          di invaghirmi di un sogno, ed ora
          mi sembra di amare questa donna
          che è così simile a lei, ma non è vero.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie personali)

            Allegoria

            Il mandarino contenne la sua ira
            quando i sevitori tremanti riferirono
            che dalla gabbietta aperta il passerotto,
            che più di ogni cosa amava, era sparito.
            Egli salì sopra la torre
            e scrutando il cielo in lontananza
            vide l'uccellino che fuggiva
            e che, credendo di volare verso il sole,
            s'inoltrava fra le nubi di tempesta.
            Con terrore pensò al buio della notte
            popolato di orribili grifagni
            che fra poco avrebbe avvolto
            l'improvvido uccellino infreddolito.
            Allora fu grande il suo dolore.

            Arrivarono da tutto il regno
            musici, buffoni e concubine
            e le stanze della reggia risuonavano
            di allegre musiche di danza.
            Ma più niente rallegrava il mandarino.

            I mercanti portarono le sete
            più lievi fruscianti e colorate
            e le gemme preziose incastonate
            in splendidi gioielli.
            Ma più niente interessava al mandarino.

            I maghi allora gli donarono
            pavoni finti costruiti
            con piume d'oro o di cristallo
            e con occhi di zaffiro o rubino
            e che dentro avevano un congegno
            che imitava il trillo di un uccello.
            Ma più niente ingannava il mandarino.

            E i savi dottori che venivano
            con libri polverosi gli spiegavano
            che gli uccelli derivano dai rettili
            e che lui si era innamorato
            di un piccolo serpente con le piume.
            Ma più niente consolava il mandarino.

            Tutti i giorni seguenti il mandarino
            saliva sulla torre alta
            e con un lungo cannocchiale
            scrutava il cielo fino all'orizzonte,
            incurante delle orde dei nemici
            che premevano oltre la muraglia.
            Sperava di vedere l'uccellino
            volare in lontananza;
            e il cielo era solcato
            dai voli dei terribili rapaci.

            Oh se ti avessi dato
            una gabbietta con le stecche d'oro,
            oppure avessi costruito per te, nel mio giardino,
            con fili invisibili, un'aerea voliera.
            Ora ti poseresti felice
            fra i cespi delle rose e sopra i rami
            dei ciliegi in fiore.
            O forse bastava
            che io ti parlassi ogni mattina,
            e tu saresti qui sulla mia mano.

            Ora attendo soltanto
            le orde dei nomadi nemici
            feroci tagliatori di teste che verranno
            dalle steppe immense,
            cavalcando diabolici destrieri;
            e scaleranno i bastioni di difesa
            e irromperanno nella fertile pianura
            incendiando i campi di riso e la mia reggia.
            Ma più nulla m'importa e io non temo
            l'infausto mio destino e la morte atroce
            che inesorabilmente, a lunghi passi, si avvicina.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie personali)
              Paradisi perduti ora non ricordiamo il dolce
              tempo delle colombe
              e la felicità
              non si è posata più
              sui nostri cuori.

              No, non dite
              a noi stoltamente piangenti
              che gli orridi imbuti sono aperti,
              ora come sempre,
              e che l'angelo più bianco
              starnazza con ali di corvo!

              Ma nuovamente Satana che ride
              a noi grida la nostra solitudine
              mostrando i giardini deserti
              e la serpe annidata sotto i fiori.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie personali)
                Dalle fosse ardeatine, 31 Aprile 2001 buio, fosse, pietre recenti sul muro.
                Un grido, alto come il silenzio, fucili,
                rumori (bangbang)
                grida, fine.

                Vi sento con me, mi camminate
                al fianco mentre
                cammino sui vostri passi
                Vi sento con me, mi fate
                un sorriso invisible attraverso
                i vostri luoghi bui che sto
                guardando
                Vi sento con me, mi abbracciate
                con le vostre ossa mentre i
                miei occhi piangono lacrime
                di storia

                Luce, Prati verdi, alberi ricchi di frutti.
                Ecco dove siete ora, amici
                Perdonaste, oh quanto
                perdonaste.
                Ma un grido mi suona in gola:
                "Pagheranno quei bastardi
                per quel che han fatto! "
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie personali)
                  Canto D'amore Mia amata
                  ancora della salvezza,
                  in te rimuovo
                  il peso della mia coscienza.

                  Sono solo, nudo
                  vestito spesso dalle illusioni;
                  sconosciuto questo tuo pianeta,
                  eppure mi da pace
                  e motivo di rivincita
                  dalle mie tante sconfitte
                  di uomo debole
                  che di sogni si nutre
                  nella precaria instabile esistenza.

                  Mia amata
                  ci si rinnova
                  navigando attraverso
                  il tuo mondo;
                  si diventa forti amandoti:
                  si trova ogni spiegazione
                  anche se inutile o banale.

                  Tenendoti per mano
                  mi accorgo d'esser vivo:
                  non c'è cosa più straordinaria.
                  Ogni giorno è migliore
                  di quello andato, perduto;
                  ogni gesto quotidiano
                  acquista peso, valore, sonorità
                  in un solo ed unico
                  canto d'amore.
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