Sono apparsi tutti i personaggi del mio povero proscenio con superbia tracciano l'ultimo scorcio di via custodi del provino di chissà quali comparse o supponenti primiattori. Io sono l'edificio cementato dalla loro presenza quasi come forme sull'orlo del tempo madri presenti. Li sento nella circolazione sanguigna dei muscoli col tonante fragore dell'assoluto. Operai instancabili dei pensieri fragili medici della filosofia quotidiana. Mattatori che si alzano dall'obitorio della notte raccontano vecchie storie sempre le stesse con lo stesso viso di allora e lo stesso suono della laringe il monologo della vita.
L'orizzonte tra le fusa di un aquilone che si sposta nelle onde del vento sul ciglio di un mondo deserto gli occhi fissi al barlume di un cielo muto senza risposte: ad ogni pensiero ceruleo o nelle liti tempestose carcerato nel singhiozzo del reale. Ora solo un campanaccio di ritorno dall'alpeggio mi cinge con vigore alla parata della vita.
Nella simbiosi dei mille colori dell'epidermide negli stessi deboli neuroni la rivoluzione nella scuola per l'unico fine: l'emancipazione e la scure al cervello della scuola delle differenze la rivoluzione a bersaglio del dogma ma nel centro libero della comune umana la rivoluzione nella ricchezza di tutte le voci e nei generi scrollati dal potere del dominio la rivoluzione l'orizzonte della dissoluzione dell'afflato padrone e il naufragio cosciente dell'individuo solo la rivoluzione l'economia del destino dialettico che si esaurisce nella rivoluzione.
Lettera da te Sono stanco mi scrivi sono stanco della notte delle streghe dello sguardo sempre uguale sul mio culo da lebbroso mi scrivi è difficile sai terribilmente difficile prendere la responsabilità di essere frocio sono stanco delle omelie delle tonache con gli scarponi chiodati. Che senso di nausea di schifo mi scrivi baciarmi nel buio come un assassino sfiorare l'amore nella prigione del silenzio rubare la felicità dietro i vetri nascosto dal mondo "normale" e fuori solo dita puntate parole di veleno sulle mie cosce aperte come una puttana sono stanco mi scrivi non combatto più "l'inferno sono gli altri"
La Tregua L'occhio non vede dove il cuore incespica e il palpito incolore s'incaglia sui binari dell'indifferenza.
La memoria si è affievolita imbarbarita e sola posta sull'altare del buio.
Sono segni da restituire per la pianta assetata dell'uomo per i figli orfani della storia.
** il titolo è tratto dall'opera di Primo Levi "La Tregua". Molte volte il nostro piccolo occhio e il nostro cuore dimentica la sofferenza dell'umanità, tutto viene revisionato, anche il nostro ricordo.
Favelas In questo bosco di nullità dove il semplice calore dell'alito cancella i segni del tempo dove la palude confina col cielo e come birilli le piccole vite per gli squadroni sorge nella pece uno scampolo di vita. Sono margini d'esistenza a cavalcioni sull'inferno e all'orizzonte piedi nudi su vetri appuntiti. Copri di fango i loro occhi frigidi dal freddo perché la sabbia di Rio si vende a chi trova un altro Brasile.
Don't cry Argentina Don't cry Argentina sui tuoi aerei pieni di urla sopra corpi scaraventati nel mare dal cielo con i tuoi scarponi militari don't cry Argentina con la coppa del mondo innalzata dai sorrisi assassini dei tuoi Videla don't cry Argentina sullo sguardo delle madri intorno a piazza Major con gli occhi di corpi straziati le unghie e la lingua recise della libertà dont'cry Argentina sulla notte omicida della tua storia.
Ti ho disegnato addosso il vestito più bello e ti ho guardato a lungo. Sono arrivata fino alla porta del cuore ho aperto ed ho guardato anche là e mi è piaciuto quello che ho visto, o forse ho visto quello che mi è piaciuto... su, su, sono entrata nella tua testa ed ho letto i pensieri, ho letto quelli scritti con la mia grafia, erano belli e dentro c'ero anch'io.
Ti guardo e penso: se ti spoglio cosa resta? Cosa resta sotto il vestito, dentro il cuore, nella testa... Cosa resta di quello che vedo, di quello che leggo, di quello che penso che tu sia?
Resto io. Resta la mia passione stupida che con la violenza di uno schiaffo sonoro, improvviso, ritorna ogni volta al mittente.
Resti tu. Quello vero, quello che non conosco, che non oso guardare, e che forse non mi piacerebbe neanche...
Ma è così bello il tuo vestito, non toglierlo, voglio guardarti ancora!