Poesie personali


Scritta da: Maia Racila
in Poesie (Poesie personali)

Vita

Travolgere i sensi
spaziando nell'aria,
abbandonarsi al destino
uscendo dal meschino,
arare il sentiero
coltivando l'amore,
accettare il coraggio
del proprio cuore,
innalzare i livelli
dei regni terrestri,
soffocare l'odio
con le tempeste,
sentirsi uno con la natura,
respirare la vita
senza paura.
Composta giovedì 19 ottobre 2017
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    Scritta da: Rosita Matera
    in Poesie (Poesie personali)

    Attese

    Linee verso il cielo le attese,
    fanno giochi d'equlibrio sulla fune dei pensieri,
    cadono radendo il suolo
    ma fanno piroette
    senza infrangersi nel fango.

    Feriscono ma non muiono
    le attese,
    le ritrovi in fondo ai pensieri di ritorno,
    le trovi fra le mani che si sfiorano per caso,
    le vedi prepotenti ricomporsi
    tra le lacrime che tu non meritasti,
    tra i tragitti di quelle navi
    che salpano ogni giorno
    e tra queste parole
    che hanno il sapore antico di verdi montagne
    dove riposano ed echeggiano le immortali attese del nostro domani.
    Composta mercoledì 25 ottobre 2017
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      Scritta da: Rosita Matera
      in Poesie (Poesie personali)

      Mattino

      Dall'occhio scuro della Notte
      sgorga il Mattino
      si stende sui viali come velo in controluce,
      ne sento i passi lievi sulle foglie intorpidite,
      m'appoggio sul suo fianco
      su cui s'appiana il mio pensiero.
      E sul suo foglio bianco
      le mie speranze caparbie
      si fondono coi germogli che mi nascono nel petto
      ogni volta che contemplo e mi confondo
      col suo volto denso
      di folle meraviglia.
      Composta mercoledì 25 ottobre 2017
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        Scritta da: venerebionda
        in Poesie (Poesie personali)

        Tramonto

        Spicchio di luna
        sulle palme del porto.
        Acqua ferma del mare.
        Nei chiaroscuri della sera
        pennellate di viola e porpora.
        Tela dipinta del tramonto.
        L'ombra di un galeone,
        di una grande matita contro il cielo.
        Fregi barocchi di palazzi
        s'illuminano.
        La città spegne i suoi colori,
        si prepara
        ad immergersi
        nell'inchiostro della notte.
        Composta mercoledì 25 ottobre 2017
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie personali)

          Persiano morto

          Per decreto del sangue
          trasse dall'orcio azzurro della fuga
          il ben scolpito ed affilato brando
          e lo vibrò più alto
          dei confini vitali: su cervici
          immaginose, cui la sua miseria
          umana contrastava in agonia
          di serafiche forze. E non lo volle
          vittorioso la Furia che s'accampa
          ora pietosa al lato del suo scudo.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie personali)

            Come una litania su santa Ombra, la più sacra e profana nel contempo!

            Ombra fedele come una custodia,
            cane segugio di quella mia musica
            che sono i passi scritti sui leggii
            dei marciapiedi. Ombra, formica china
            trascini la mollica del mio corpo
            al nulla della meta più distante.
            Ombra, neonata, la mia carne un latte
            e le piante dei piedi, infimi seni
            cui succhi quel guadagno ch'è la vita.
            Ombra, carezza lieve del riflesso
            biondo, solare, ombra, più crudele
            masso attaccato a sprofondanti colli,
            giù verso il fondo – ché s'annega insieme –
            del mare caldo della passeggiata,
            eco di suola senza eco di scarpa
            e suo privilegiato farne a meno!
            Cadavere che porto inseppellito,
            onnipresente bara che la strada
            porta sulle sue spalle
            nel funebre corteo ch'è solitudine!
            Ombra vigliacca notte che ha implorato
            china fin sotto i piedi ad ogni passo,
            aspettando che alzassi le mie scarpe
            per rifugiarsi dalle paranoie
            del freddo, della pioggia, del suo essere,
            sentirsi nuda, tranne sotto il tetto
            provvisorio che io potevo offrirle!
            Chè sembri allontanarmi dalla luce
            anche se non sprofondo
            nel solo vero inferno
            del sottosuolo! Chè, più di mia madre,
            mi ami, ed è un amore possessivo,
            ma mi ami, m'ami, non mi uccideresti
            lo faresti a te stessa e non vorresti!
            Ombra, che ti riscopro
            cane fedele a sera, quando scelgo
            di cadere sul letto del mio sonno,
            entrato il corpo delle mie pupille
            sotto quelle lenzuola delle palpebre!
            Ombra, ché sembri non dormire mai!
            Ombra, me senza sensi!
            Ombra la senza voce, senza sguardo,
            la senza mano e piedi, senza naso,
            Morte che in vita vive solo inerzia!
            O forse Ombra caduta
            in me, che chiedi l'approfondimento
            e ti spalanchi in più buio colore,
            emergi, usi il corpo come bara
            per vivere sepolta, parassita!
            Ombra, custodia di un non mai suonato
            strumento della luce, unica nota,
            fama che si bisbiglia immeritata
            del me compositore che non sono,
            un non talento che infine è pur dono,
            composizione stanca trascinata
            fin dagli inizi, già verso la fine,
            e non coraggio dell'incompiutezza,
            ché ci pensa la Morte per finirla.
            Ombra, bara da cui fuoriuscirà
            vivendo solo un giorno quella data.
            Notte, ti penso, folle, quel totale
            di tutte le ombre divenute eterne
            di quelli morti che sono vissuti!
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie personali)
              Soltanto echi di pietra dei miei occhi,
              palpebre condannate a cecità,
              ventre tattile mima affusolandosi
              le doglie di quel parto misterioso,

              O piangere le lettere di lacrime,
              usando il rigo come fazzoletto,
              andare a capo è aversele asciugate –
              illuso solamente, questo sono! –
              e ancora piango, utero, la mano,
              grida il suo movimento
              cuccioli di parole,
              madre prolificissima
              si mostra tutto l'aborto spontaneo
              del sangue che diviene infine nero,
              ché troppo a lungo mi è rimasto dentro!
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie personali)
                Avrai imparato che la gravidanza
                era già vita e il ventre era il suo mondo,
                dato alla luce solo della madre,
                e il parto un lutto e un mettere ad un altro
                mondo, fuori dal proprio, il proprio figlio.
                Così ogni creatura, a sua insaputa,
                nascerà sempre orfana.
                E la distanza, pur ravvicinata,
                tra madre e figlio, mentre lo carezza
                la prima volta, è già il suo pentimento
                per averlo spedito all'aldilà.
                E segno ineluttabile del Fato
                lo stacco del cordone ombelicale,
                come il filo che spezza con le forbici,
                delle tre Parche, Atropo.
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