Poesie inserite da GIUSEPPE BARTOLOMEO

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Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
Ho visto pochi fiori campestri in questa corta primavera
con prati verdi pieni di piccole margherite senza bellezza,
con fiori gialli come stelle con molti petali rotti sulla terra,
qualche cardo silvestre con un fiore piccolo semiaperto.

I campi che l’anno scorso erano pieni di molti papaveri rossi
quest’anno li ho visti di lutto con steli  bassi e colori smorti.
Anche i cardellini e i pettirossi erano rari con i ghirigori corti.
Sono andati lontano prevedendo poca pioggia e calore strano?

È certo che la natura è saggia, previgente e con molte più risorse
di noi uomini di oggi, avendola dimenticata, perché non l’amiamo
come nel passato i nostri nonni che la carezzano con occhi e cuore,
osservandola, pregando il Signore, sia in ore di pioggia che di sole.

Oggi crediamo solo nella scienza, nei concimi e nelle buone sementi,
ma abbiamo dimenticato che la terra va prima  amata e poi ben arata
sia con trattori sia con le mani. Dobbiamo pulirla dalle brutte erbacce
se vogliamo che sia feconda, ci dia il pane e tutti i bei fiori del creato.

Sono convinto che tutt i fiori campestri sono le infinite carezze divine
offerte a noi uomini che camminiamo chini  sulla terra con occhi aperti.
Quando il cielo è pieno di nubi e il sole non ci riscalda né  mani né testa
vuol dire che dobbiamo specchiarci nei fiori perché la vita sia una festa.
Composta venerdì 30 giugno 2017
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    Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
    Quanti turisti viaggiano d'estate solo per dimenticare,
    quante valige piene di ricordi e vuote di nuove illusioni,
    quanti volti senza nome abbiamo visto senza parole.

    Chi viaggia con la macchina no sa se rivedrà la casa,
    chi per essere padrone del bello solo guarda panorami,
    altri vanno in treno per sognare, leggere e osservare.

    Gente di ogni età per nuove emozioni e senza timore
    preferisce l'aereo volando nel cielo prima del tempo
    imitando la libertà degli uccelli e carpire le sue stelle.

    Atri li ho incontrati in bicicletta per sentieri poco indicati
    per raggiungere il buon cammino dello spirito dimenticato:
    camminano silenziosi o in compagnia per incontrare Dio.

    Ho visto gruppi a piedi con dei cappelli e grossi scarponi
    inoltrarsi nel verde dei boschi per comprendere se stessi
    o scalare la prossima montagna con enorme commozione.

    Tutti abbiamo bisogno ogni tanto di un tempo solo nostro
    per captare la luce del giorno e i veri messaggi della notte:
    solo così capiremo dove andiamo e quanto si deve amare.
    Composta venerdì 30 giugno 2017
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      Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
      Camminiamo ogni giorno sotto la pioggia o sotto il sole
      con i pensieri che si perdono fra le nere nuvole del cielo
      anche se i nostri semafori della vita si accendono di rosso
      quando sogniamo di camminare su grandi lastre di gelo.

      Camminare in questo mondo senza saper leggere i colori
      che ogni giorno invadono i nostri sensi e le nostre pupille
      vuol dire che siamo in una zona oscura del nostro letargo
      in attesa di purificare i nostri fantasmi con divine scintille.

      Dovremmo apprendere a convivere con i nostri strani sogni
      quando la notte dipingiamo con la nostra mente senza cuore
      quelle fantasie che nascono a mezzanotte senza un calendario
      per indicarci dove ci troviamo in che anno, mese, giorno e ore.

      Camminare come uomini svegli sulle strade di questo mondo
      vuol dire aver tracciato un buon cammino pieno di bei ricordi.
      Il cuore di noi uomini si riempie con Dio, amando una donna
      ma senza perdere la bussola della vita per non essere balordi.
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        Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
        Ogni uomo ha la sua ombra que lo segue nella vita:
        nasce, cresce, si curva, si allunga, sparisce, ritorna,
        ma lei non ci abbandona anche quando non c'è il sole.

        È la nostra compagna nei giorni di pioggia e di nebbia,
        quando siamo allegri o quando il cuore è triste e solo.
        Mi domando: perché ci accompagna senza dire parola?

        Noi ci arrabbiamo, gesticoliamo, piangiamo, preghiamo,
        lei è sempre silenziosa: ci imita, ci segue e si nasconde.
        La nostra ombra ci ricorda che alla luce siamo stesi a terra.

        È la nostra foto fatta d'ombra che ci guarda dal basso in alto:
        è la nostra anima che non ci abbandona mai quando siamo soli
        o è il nostro angelo custode che ci ricorda di essere veri uomini?

        È certo che siamo chiamati a vivere ogni giorno sotto la luce
        se vogliamo specchiarci così come siamo nella nostra ombra.
        Lei ci dirà sempre come ci comportiamo quando la guardiamo.

        È il nostro specchio opaco dove ogni giorno ci ritroviamo:
        arriverà il giorno che anche lei ci abbandonerà silenziosa
        affidandoci in cielo nelle mani di Dio e in terra al pio riposo.
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          Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
          Di mattina presto al sorgere del sole d'agosto
          sono penetrato silenzioso in un bosco di pioppi,
          olmi, salici e tanti rovi pieni di more rosse e nere
          che ho messo in bocca al canto di belle capinere.

          Il silenzio del mattino era rotto da pochi uccelli
          illuminato dai bagliori del sole che lento appariva
          con raggi d'oro fra il fogliame verde che copriva
          lo stretto sentiero di erbe e alto sedano silvestre.

          Udivo le foglie secche chiacchierare sotto i piedi
          forse stanche di volare col vento sotto il cielo,
          preferendo finire per abbellire dei nidi di uccelli
          o essere calpestate per arricchire la loro terra.

          Ho camminato un paio di ore con lo zaino e bastone
          ascoltando come si svegliava questo mattino d'agosto
          in una lunga fascia di bosco verde lungo il fiume Ebro
          con cicogne e garzette beccando le ultime tenebre.

          Il sole lanciava i suoi raggi su anatre dal collo azzurro
          mentre due giovani aironi cenerini mi guardavano
          seduto sulla riva ascoltando la tenue sinfonia delle ore
          con la luce che illuminava lentamente la nuova aurora.
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            Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
            In questi giorni di fine luglio con un sole che pizzica
            la mia calva, con più di settant'anni che porto addosso,
            ho seguito da lontano insieme alla mia cagna malamute
            come un uomo solo con una enorme mietitrebbiatrice
            in poche ore ha fatto fuori molti ettari di buon grano.

            Seduto su un masso con accanto la cagna e il rumore
            della macchina che avanzava vedevo sparire le spighe
            e il campo che restava aveva perduto le leggere onde
            guardando il cielo azzurro con dei recisi capelli gialli
            rimasti nel terreno come se fosse passato un barbiere.

            Che differenza da quando ero bambino nella mia Lucania
            vedendo mia madre e tante altre farsi il segmo di croce
            prima di mettersi i ditali di canna e iniziare a tagliare
            quelle belle spighe inclinate verso terra per baciarla
            formando tanti covoni che poggiati sembravano fratelli.

            Poi venivano trasportati sul carro, messi sulla rotonda aia
            aspettando gli zoccoli degli animali per far uscire il grano.
            All'ora si mangiava insieme bevendo un sorso di un buon vino
            per prendere il vaglio e con il buon vento separare la paglia
            mentre i chicchi cadendo a terra formavano piccole piramidi.

            Adesso comprendo perché il pane che ogni giorno compriamo
            non ha lo stesso sapore dei forni a legna del mio passato.
            La farina non è più pura e sicuramente ha strane sostanze
            perché il pane indurisce presto e non arriva fresco a domani.
            Grano, farina e pane hanno bisogno di carezze, amore e mani.
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              Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
              Come è cambiato il mondo negli ultimi cinquant'anni:
              allora nel paesino lucano dove ho passato l'infanzia
              passava un bus due volte al giorno andata e ritorno.
              Le macchine? Mosche rare in quelle strade di ghiaia.

              Tutti ci conoscevamo con il nome o meglio soprannome
              i più famosi? "Mezzo pensiero" e l'altro "fuori legge",
              bastano queste quattro parole per capire chi erano.
              Tutti gli altri paesani eravamo ribattezzati in dialetto.

              I primi orologi da polso li ho visti in un piccolo negozio
              del padre dell'amico di scuola dove la bianca magnesia,
              presa di nascosto, l'intruducevamo in bottiglia d'acqua
              per poi andare a berla alla fiumara dove ci bagnavamo.

              Erano altri tempi quelli trascorsi negli anni cinquanta
              quando arrivavano pacchi d'alimenti dalla ricca america,
              ascoltavamo musica con un bel grammofono con tromba
              con un nome curioso e un bel cane: la voce del padrone!

              Nel paese c'erano solo le scuole elementari, un sindaco,
              un banditore che ogni giorno fungeva da vero giornale,
              tre chiese, un sacerdote con quattro suore mantenevano
              in piedi la devozione e quattro maestri per l'educazione.

              Oggi si direbbe che erano tempi duri, ancora arretrati
              invece è stata proprio quella generazione a edificare
              una nuova visione della vita, più cultura e più fantasia.
              Speriamo che nel futuro l'uomo coltivi ancora la poesia.
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                Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
                Finalmente dopo tanti anni di attesa e di cure
                il mio cactus con infinite corte spine pungenti
                mi ha regalato due bei fiori grandi color rosa
                con corolla bianca e lunghi pistilli al vento.

                Sembrava un calice aperto nel cielo
                aspettando gli insetti per fargli festa
                volando lontano per dargli nuova vita
                forse su un balcone più bello e pulito.

                Quanti cactus con spine incontriamo nella vita:
                alcuni ci regalano bei fiori altri molte spine.
                Non tutti i cactus hanno spine ma sanno vivere
                iniseme a quelli che li pungono e li trafiggono.

                È triste vivere come cactus con spine
                ma più triste è essere uomini altivi
                con un cuore di carne pieno di spilli
                senza saper dire grazie e morire vivi.

                Apprendiamo a regalare fiori belli senza pungere
                chi ci sta accanto nel lavoro e nella nostra vita.
                Regaliamo ogni tanto un sorriso non solo agli amici
                ma anche a quelli che sono cactus con molte spine.
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                  Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
                  Giocheremo a nascondiglio in questa piccola piazza
                  di un paese sperduto sui fianchi di un'alta montagna
                  dove i neri pipistrelli guizzano veloci sotto i lampioni
                  mentre gli anziani già stanchi sognano la loro aurora.

                  Nascondersi negli angoli di vicoli stretti senza paura
                  era il gioco più bello della nostra lontanza infanzia
                  quando non c'erano macchine e moto facendo rumore
                  avvelenando l'ambiente, distruggendo i nostri giochi.

                  Passavano solitari nel muto silenzio della tarda sera
                  i padroni sui loro asinelli con due sacchi pieni di fieno,
                  mentre le nonne con le mamme ricucivano il loro domani
                  guardando i bambini giocare e la notte lenta avanzare.

                  Arriverà il tempo che ritorneremo a giocare a nascondiglio
                  in una città moderna piena di uomini allegri e pieni di vita
                  senza smog, senza sirene, senza veicoli che sputano veleni,
                  ma con occhi pieni di azzurro e un grande cuore nel cielo.
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                    Scritta da: GIUSEPPE BARTOLOMEO
                    Apriremo solchi profondi in questa nostra terra
                    dove il cielo possa far crescere sorrisi e fiori
                    insieme al sole che sorge e muore senza dolori.

                    Apriremo le nostre finestre ai colori del mattino
                    carichi di sospiri, di illusioni e sogni non sbocciati
                    perché i bambini possano sognare anche se svegliati.

                    Apriremo gli occhi sui vecchi colori dell'arcobaleno
                    chiusi in quest'arco di trionfo unendo terra e cielo.
                    Siamo i figli della terra abituati al caldo e al gelo.

                    Apriremo i nostri occhi nelle notti oscure della vita
                    quando il cuore batte più forte e ci vince la malinconia:
                    sarà il giorno del nostro pianto e dell'amica nostalgia.

                    Apriremo le nostre mani per accarezzare tutti i bambini
                    nati su questo pianeta azzurro dove gli uomini gioiranno
                    insieme a tutti gli esseri viventi che alla fine si ameranno.
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