L'amore s'accende intorn'a un falò e si spegne sotto un acquazzone. Nel genere teen movie, queste sono le cose che piacevano a mia madre ("Il tempo delle mele", Claude Pinoteau, 1980): un manuale d'istruzioni per ragazzine adolescenti sul più irreale dei romanticismi. Per chiunque altro, quasi una farsa da incubo. Almeno è salvabile l'idea ch'il vivere in un assoluto presente non sia per libera scelta ma per reazione automatic'a un passato già traumatico.
Fondere Bach, Chopin, Liszt, Rachmaninoff coi Groove Armada di "Hands of Time" e, soprattutto, i Pixies di "Where Is My Mind?" ha del geniale. La bellezza di questo film non consiste nel suo presunt'effetto consolatorio, ma nel ricordarci come la musica sappia esprimere qualsiasi momento della vita, ogn'istante dell'esistenza. Coi dovuti distinguo, non m'accadeva da "All That Jazz" (Bob Fosse, 1979). E quando la Scott Thomas vorrà tornare alla spazzatura pulp, troverà sempre pronto ad accoglierla il Refn di "Solo Dìo perdona" (2013).
Tutto sta in quel trattino nel titolo. Bandita l'enfasi vers'il Maestro e i suoi presunti capolavori, "Michelangelo - Infinito" rimarca un conflitto irrisolto (persino dall'MCU...), la sconfitta del primo polo rispett'al secondo, la manciata di millimetri fra l'indice d'Adamo e quello divino, uno scarto ancor'insanato di cui le opere più importanti del Buonarroti recano lo sfregio, una stimmata alla fine consapevole pur'a lui e che questo strano film sottolinea con pregevole incisività. Quella di Davide contro Golia è una vittoria di Pirro, e a me risulta che sol'il dripping di Pollock tenterà, secoli dopo, di colmare Lo Iato.
Fiab'animalista a parte, l'amara verità è ch'i rapporti parassitari e non simbiotici appartengono alla realtà intera e non solo a quella umana, tant'è che pure Charlie dovrà imparare a cacciare per sopravvivere.
Alla Marvel/Disney vengono meglio i film con un solo protagonista che quelli corali, gl'uno contro tutti invece dei tutti contro uno. Anche con un paio di dozzine di sceneggiatori, il loro tentativo d'incastro delle trame multiple è disastroso. Eppure agli spettatori piace smisuratamente di più il fracasso d'una storia che sembra passata attravers'uno sciame di buchi neri, poiché ormai s'intende l'epicità com'ipertrofica bulimia quantitativa. "Captain Marvel" è un tuffo indietro agli anni '90, sempre meglio tardi che mai racconta l'inizio della saga, ha una colonna sonora eccellente. Molti stereotipi, però non quanti nelle 3 ore di "Avengers: Endgame" con disfatta, scoramento, rinascita della speranza, nuovo reclutamento, morti eroiche, frasi a effetto intercambiabili, ecc.
Pablo Larraín ("No - I giorni dell'arcobaleno", 2012) trasferito dal Cile in Uruguay e integrato con la prospettiva d'un evergreen come "Papillon". Il picco emotivo giunge sulle note di "The Sound of Silence" arrangiata e interpretata da Sílvia Pérez Cruz. La magia e il mistero pervadono l'audiovisivo.
Ps: il titolo è sbagliato. "Una notte di 12 anni" e non "a".
Come già "Locke" (Knight, 2013) e "Beast of Burden" (Jesper Ganslandt, 2018), un pesantissimo esercizio di stile buono solo per i festival indie tipo il Sundance o i suoi epigoni di Rotterdam e Torino. Dopo un'ora dì vuot'assoluto, un unico colpo di scena. Hanno osato definirlo a "high-concept thriller". Quand'è allora ch'il profilo sarebbe infimo?
Schnabel prov'a tradurre tensioni, inquietudini, difficoltà di van Gogh mediante l'uso della cinepresa, che dovrebbe farci vedere la realtà con gl'occhi del pittore così come lui la vedeva. L'inquadrature in soggettiva e in controluce, traballanti, sghembe, sfocate vogliono proiettarci dentro la vita dell'uomo e dell'artista. Ma è questo il vero van Gogh? La persona ch'emerge dai suoi scritti (diari e lettere) oppure dai suoi lavori (quadri, schizzi, ritratti)? Non c'è traccia del furibondo, ossessivo, delirante, vorticoso mulinare pittorico ed esistenziale che l'ha consegnato alla storia. Esso viene qui rimpiazzato da una propensione per una (cristologica*) estaticità che fors'è presente nelle sue riflessioni ma non nella sua arte. Ad aggravare il risultato, il film s'affida troppo alle parole, ricorrèndo spesso a lunghi pedanti dialoghi esplicativi.
*L'aggiunta dell'aspetto cristologico s'esplicita iniziando dalla conversazione di Dafoe con Mads Mikkelsen: quest'ultimo aveva già interpretato il ruolo di prete ne "Le mele di Adamo" (Jensen 2005), mentre Dafoe aveva già recitato nei panni del Nazareno sia con Scorsese ("L'ultima tentazione di Cristo", 1988) sia con Ferrara (nel metaforico "New Rose Hotel" del 1998).
Ps: il titolo è sbagliato. "Una notte di 12 anni" e non "a".
*L'aggiunta dell'aspetto cristologico s'esplicita iniziando dalla conversazione di Dafoe con Mads Mikkelsen: quest'ultimo aveva già interpretato il ruolo di prete ne "Le mele di Adamo" (Jensen 2005), mentre Dafoe aveva già recitato nei panni del Nazareno sia con Scorsese ("L'ultima tentazione di Cristo", 1988) sia con Ferrara (nel metaforico "New Rose Hotel" del 1998).