Mauro Lanari

Nella pagina del Film Venom di Ruben Fleischer
Senza gridar'al prodigio, era dal 1° "Iron Man" che non trovavo un cinecomic così intrigante, forse grazie alla gestione del personaggio Marvel da parte non della Disney ma della Sony. I critici stroncano poiché sarebbe una deriva vers'un ormai datato modello di supereroe, io invece sono fra quelli che godono di questo ritorno all'origini. Un ritorno incredibilmente post- o anti-Millennial, non per bimbi frignoni cresciuti però ancora dipendenti dal pulp tarantiniano, bensì per adulti ch'affrontano senza tanti convenevoli lo splitting identitario. E se dietro a Tony Stark era impossibile non intraveder'Elon Musk, qui è altrettanto impossibile non intravedere nell'antagonista il lato inquietante dell'imprenditore sudafrican'o dei suoi (ex?) compari della Silicon Valley.
3 anni e 10 mesi fa
Nella pagina del Film Anna di Luc Besson
"Besson fa fronte alla crisi finanziaria della sua casa di produzione realizzando un action movie popolare e fracassone, col quale torn'ai fondamenti del suo cinema, al suo archetipo femminile e a un'epoca per lui più spensierata." Però il tempo passa, i fan di questo genere hanno visto tutto fatto prima e meglio e Luc non diverte più, dirigendo probabilmente il suo peggior film anche se cerca d'aggiornare i cliché con l'amicizia femminile, l'identità a matrioska della sua nuova eroina non credibile manco per un attimo e imbarazzanti anacronismi tecnologici. Delebilissimo tranne l'adrenalina che fiotta grazie alle due intramontabili hit dei Technotronic e degl'INXS.
3 anni e 10 mesi fa
Nella pagina del Film The Imitation Game di Morten Tyldum
Sulla decodifica del principale sistema di cifratura nazista non esiste solo già il film d'Apted "Enigma" del 2001, ma pure una sfilza di documentari da "History Channel" a "Focus". Tuttavia Tyldum adatta una biografia in cui l'enigma si riferisce a Turing stesso, al suo test per cercare di distinguer'il pensier'umano da quell'artificial'e al suo specifico problema di dar valore alla sfuggente diversità della mente d'ogni singolo individuo(*). Ciò fornirebbe una plausibile spiegazione alla diegesi non lineare, una storia raccontata su tre piani cronologici che rendon'il protagonista un rebus da risolvere. "The Imitation Game" è lo spunto d'inizio del suo articolo pubblicato nel 1950 su "Mind"(**), dove propose il criterio ch'oggi porta il suo (cog)nome, e di nuovo Tyldum l'applic'anzitutto a Turing, il quale fu costretto a imitare la normalità per nascondersi come spia e com'omosessuale. Un'opera insomma i cui vari e disparati elementi alludono sempre a una qualche sfaccettatura del personaggio interpretato da Cumberbatch. Cinema dunque non sperimentale ma nemmeno piattament'e convenzionalmente tradizionalista per compiacers'i favori dell'Academy, anzi mi spingo più in là: è la prima volta che vedo il plot arriagano a puzzle/incastro/mosaico usato non per complicare vicende altrimenti semplicistiche bensì per delineare una soggettività così complessa da esigerlo. Le numerose inesattezze storiche(***) non sminuiscono il fascino intrinseco di questa figura: la reinventano togliendo tanto quant'aggiungono. A es. brillante l'idea d'umanizzare la macchina e sconvolgente la question'etica sollevata dal dirigere la guerra disumanizzando noi, cioè decidendo di vit'e morti sulla base d'algoritmi matematico-statistici. Omess'invece la ginecomastia causata dalla castrazione chimica tramite assunzione d'estrogeni (simil'al Meat Loaf di "Fight Club") e il decesso provocato mangiand'una mela avvelenata con cianuro di potassio sulla falsariga di Biancaneve, fiaba da lui apprezzata sin da bambino. Troppo macchiettistico stile "Rain Man" o il Nash di "A Beautiful Mind"? Ma nel contesto scientifico si potrebbero pescare outsider un po' ovunque, dal Boltzmann osteggiato e suicìd'ai Mendel, Frege, Everett III così ignorat'in vita che per la frustrazione interrupper'o abiurarono i loro studi, dal Cantor afflitto da molteplici disturbi "nervosi" e più volte ricoverato in cliniche psichiatriche a Gödel, altro suicìda per inedia dovut'a ipocondria, fobia e paranoia. Lo script del film fu inserito nella blacklist 2011 delle migliori sceneggiature non prodott'a Hollywood, e difatti con biopic di questo calibro è impossibile steccare. "Forte, trionfante e tragico, il film può essere su un uomo che ha cambiato il mondo, ma è anche sul mondo che ha distrutto un uomo."

(*) "Sono le persone che nessuno immagina che possano fare certe cose quelle che fanno cose che nessuno può immaginare."
(**a) https://academic.oup.com/mind/article/LIX/236/433/986238
(**b) https://www.csee.umbc.edu/courses/471/papers/turing.pdf
(***) https://www.historyvshollywood.com/reelfaces/imitation-game/
3 anni e 11 mesi fa
Nella pagina del Film Hannah Arendt di Margarethe von Trotta
L'esperimento di Milgram fu un esperimento di psicologia sociale condotto a Yale nel luglio 1961, tre mesi dopo l'inizio del processo a Gerusalemme contr'il criminale di guerra nazist'Adolf Eichmann. Stanley Milgram concepì l'esperimento com'un tentativo di rispondere alla domanda: "È possibile ch'Eichmann e i suoi milioni di complici stessero semplicemente eseguendo degl'ordini?" La risposta ch'emerse è articolata in forma piramidale, gerarchica, organigrammatica: finché s'è sottoposti a qualche figura autoritaria, le si delega la responsabilità morale dell'ordine, salvo quel 37% a cui nell'86 Peter Gabriel dedicò un brano dell'album "So", "We Do What We're Told (Milgram's 37)" (https://music.youtube.com/watch?v=sMLlDBXtmX0); la sindrome gregaria dei più obbedisce a prescindere, dunque basta decapitar'i decision maker, la classe dirigente, l'élite intellettuale dei vinti, così com'i vincitori si premurarono di fare nel processo farsa di Norimberga, e li si rimpiazza/sostituisce coi sopraggiunti. Venne dimostrato ch'Eichmann rientrava in questa seconda categoria e pertanto fu condannato a morte per impìccagione. Nel libro del '63 la Arendt non applica un simile distinguo e si limita a coniare l'etichetta "la banalità del male", non affrontando l'ingegno evidenziato da chi quel male l'ha saputo ideare, organizzar'e comandare. Il film fa schìfo poiché non accenna mai a nulla di tutto ciò.
3 anni e 11 mesi fa
Nella pagina del Film La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson
Com'in "Silence" di Scorsese, Andrew Garfield è di nuov'in Giappone col suo Credo nel Nazareno, stavolta nel ruolo di Desmond Doss, "a conti fatt'il prim'obiettore di coscienza nella storia dell'esercito americano": molto bene. "Doss ha sempre dichiarato apertamente la propria fede e non s'è mai pres'alcun merito circa la propria impresa; quest'ultimo va riconosciuto a Dio": bene, purché tale fede sortisca effetti pratici positivi. Mel Gibson lo ritrae mentre cura sia i commilitoni ch'i nemici nipponici: ottimo. "Ciò gli vals'il massimo riconoscimento militare per avere tratto in salvo ben 75 vittime proprio ad Hacksaw Ridge": "tratto in salvo"? Nessuno ricorda più la differenza tra salvare, curare, sopravvivere? Forse bisognerebbe chiederlo al padre di Doss, che mostra d'essere l'unico ad averlo capito. Hacksaw Ridge sarebbe stata conquistata grazie alle preghiere del protagonista prima del vittorioso assalto finale: "Dove sta il regista de 'La Passione di Cristo' e 'Apocalypto' in tutto ciò?" Domanda delirante, in quanto col suo Cristianesimo fondamentalista ha girat'un biopic che parte com'un inno alla non-violenza e si conclude col costantiniano "in hoc signo vinces", il biblico "Dio degl'eserciti" ("Dominus Deus sabaoth"). Er bigottone ci ha provato per metà film, poi ha gettato via la maschera e s'è sbracato.
3 anni e 11 mesi fa
Nella pagina del Film Oceania di Ron Clements
"Non aspettatevi un film eccezionale o rivoluzionario, bensì tanta tradizione e tanto piacere per gli occhi." Esattament'al contrario, penso sia il miglior film nella storia della Disney. In apparenza non sembrava volerci molto: bastav'abiurare l'ideologia ultraconservatrice di Walt & Co. La rivoluzion'è giunta, ancora con qualche difetto ma i pregi sono tanti e tali ch'è impossibile sottovalutarli. L'alba d'una nuova scintilla per la multinazionale statunitense.
3 anni e 11 mesi fa
Nella pagina del Film Inside Out di Pete Docter
Docter ha svolto i compiti a casa: s'è letto il LeDoux di "The Emotional Brain" (1998, tr. it. dello stess'anno: "Il cervello emotivo"), ch'ipotizza 5 emozioni base (paura, amore, odio, rabbia, gioia, cf. https://books.google.com/?id=AxzbAAAACAAJ, nel film cambiat'in Paura, Tristezza, Disgusto, Rabbia, Gioia – Fear, Sadness, Disgust, Anger, Joy), e il Kosslyn di "The Case for Mental Imagery" (2006, cf. https://books.google.com/?id=igi-Z_w38CUC), che rimpiazza la novecentesca panlinguistica teoria della mente con quella dell'immagini mentali, e ciò spiana la strad'a una rappresentazion'iconica dell’attività psichica congeniale all'essere tradotta nel codice cinematografico (per un approfondimento si legga: “Pixar and the Brain Scientists” di Wai Chee Dimock, cf. https://lareviewofbooks.org/essay/pixar-and-the-brain-scientists). Un po' di psicoanalitiches'anglofono non guasta e così c'è pur'il Subconscio ("Unterbewusstsein") invece del termine corretto inconscio ("Unbewussten"). Come diceva nell’81 la pubblicità della Telefunken, "potevamo stupirvi con effetti speciali e colori ultravivaci" (https://www.youtube.com/watch?v=S3RuTgdhk3A), e difatti le 5 emozioni sono state antropomorfizzate in maniera particolare: Gioia ha le sembianze d'una stella, Tristezza ricord'una lacrima, Rabbia è un vivido fuoco, Paura assomigli'a un nervo e Disgusto a un broccolo. La sintesi conclusiva fra Gioia e Tristezza è anticipata dal colore blu, quello di Sadness, dei capelli di Joy, ma l’intera pellicola è un tripudio di fantasia ipercromatic'al potere (si pensi alla scena del Pensier'Astratto con riferimenti a Picasso, Kandisky/Kandinskij e Miró). Un'idea analoga era già venuta a Woody Allen nel 7° episodio del suo lavoro del ’72 e ai Farrelly d''"Osmosis Jones" nel 2001. Tuttavia la 15a produzione Pixar-Disney non si discosta dalla sua consuet'ideologia conformistica, reazionaria e distopica: l'immaginazione apparentemente sfrenata è al contrario sottomess'a rigidissimi vincoli contenutistici. Non sia mai che Riley, la protagonista 11enne, abbia il carattere d'una ribelle antifamilista, anzi: "Inside Out" gira dall'inizio alla fine attorno alla tabuizzazione di tal'eventualità, adottando qualsiasi espediente pur di censurare un simile scenario. E se deve morir'un personaggio, muore Bing Bong, l'amico immaginario immolato sull'altare d'un immutabile realismo. Nessun timore: roba del genere attecchisce sol'in cervelli già predisposti all'accondiscendenza verso lo status quo.
3 anni e 11 mesi fa
Nella pagina del Film Blood Diamond di Edward Zwick
La sceneggiatur'alterna buone intuizioni a trucchi manipolativi/-ori che finiscono per compromettere l'importanza del messaggio e pure la storia d'amore fra le due star principali.
3 anni e 12 mesi fa
Nella pagina del Film Pasolini di Abel Ferrara
1) "Quello che conta è che a qualcuno viene fatto del male. Diventa un problema religioso" (Nicholas St. John). Dopo la rottura del sodalizio artistico tra Ferrara e il suo sceneggiatore di fiducia, era lecito aspettarsi pure la conclusione dell'analisi critica nei confronti del cristianesimo. Invece Abel l'ha proseguita almeno sin'a "Mary" (2005), passando per la vertiginosa riflessione teologica di "New Rose Hotel" (1998) degna della "Teodrammatica" vonbalthasariana: s'è marcio l'Amore dello Spirito (Asia Argento) che lega Padre e Figlio nella chiave affettiva e non ontologica agostiniana, allora sono marci e auto-eterodistruttivi anche l'Amante (Walken) e l'Amato (Dafoe).
Cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/Trinity#Trinity_and_love
Poi nel 2011 esce "4:44 Last Day on Earth" e cominciano i film-da ultimo-giorno, che poi non è l'ultimo bensì l'inizio d'una dimensione colma di luce: nel supermarket delle spiritualità Ferrara ha scelto di fare shopping dalle parti della newage in forma buddhista.
2) PPP miglior intellettuale italiano del '900? Magari è vero, il che però significa quanto la presbiopia da "Elephant" sia direttamente proporzionale alla vicinanz'al problema: forse solo da noi si riduce e riconduce la questione cattolica a un foucaltiano dispositivo di potere, una sovrastruttura ideologica dipendente dalla struttura dei rapporti di produzione, dalle tresche del Palazzo, dal "perverso sistema educativo", ecc. Pasolini era engagé e filtrava gl'eventi attraverso l'impegno politico, per lui non c'er'alcuna possibile redenzione diversa da quella non solo atea m'anche materialistica. Intriso di contraddizioni squassanti, si dimostrò mammone al punto da far recitare la madre nel ruolo di Maria ne "Il Vangelo secondo Matteo" (1964) e al contempo fornì la più lucida lettura della tragedia sofoclea riconoscendone l'origine nel complesso di Giocasta e Laio ("Edipo re", 1967). "Io scendo all'inferno e so molte cose che per ora non disturbano la pace degl'altri." Quest'è il punto di convergenza tra Ferrara e Pasolini, dopodiché soltanto differenze.
3) Nell'intervista a Furio Colombo, Dafoe elenca i punti argomentativi col gesto delle 3 dita all'americana, il gesto che nel tarantiniano "Inglourious Basterds" (2009) cost'a Pitt lo smascheramento da parte del nazista della Gestapo. S'insiste nell'incoerenza del narrare la morte della narrazione. Nunzio: "La fine non esiste. Aspettiamo, qualcosa accadrà." E riecco la newage buddhista. Allo sbando.
3 anni e 12 mesi fa
Nella pagina del Film Go Go Tales di Abel Ferrara
L'intento allegorico non è manco granché arcano: tutto tranne che "lontanissimo dalle [proprie] atmosfere malsane o maledette", Ferrara si mett'a caccia d'una redenzione alternativ'a quella cristiana, una salvezza di portata blasfema persino rispetto ai suoi standard. Basta con la ricerca premiale di castità, povertà, obbedienza, e cedimento alla triplice demoniaca tentazione di sesso, denaro, potere. Cominciando da quest'ultimo, il Dafoe/Ray è la figura perversamente registico/divina che sin dalla prima sequenza controlla, monitorizza e supervisiona la realtà com'il Trintignant di "Film Rosso" (1994) o il protagonista di "Sliver" (1993), gestisce il locale "Paradise" caduto in dis-grazia e assediato da chi attende l'eredità d'un "lascito testamentario" andato perso e poi recuperato nell'"happy ending". L'ambiente è il solito italoamericaneggiante, il film è stato girato a Cinecittà giusto perché al Vaticano non sarebbero attrezzati. L'umanità variegata che popola il babelico club non è di particolare interesse, non vi son'esemplari smodati di freak, loser, dropout, il trash si limit'a "quella" singola scena (https://www.youtube.com/watch?v=wxu81IiOdaw: video rimosso). L'esito è corale ma non altmanniano, felliniano ma senz'appeal, una "black comedy" priva di fascino ed emozione, accade "tutto in una notte" (Landis 1985), "fuori orario" (Scorsese sempre 1985), "dal tramonto all'alba" (Rodríguez 1996), rimand'a Frank Capra, Billy Wilder e Preston Sturges, ricalca la struttura de "L'assassinio di un allibratore cinese" (Cassavetes 1976), 7° nella top ten 2012 dei Cahiers (https://www.indiewire.com/2012/11/cahiers-du-cinema-names-top-ten-films-of-2012-holy-motors-reigns-cronenberg-ferrara-and-coppola-represent-trailers-200849/), bla bla bla, però "è un film leggero e disimpegnato che non diverte, un film erotico che non eccita, un film torbido e provocante che non scandalizza". L'unico fremito giunge per lo struggente bandoneón di "I've Seen That Face Before (Libertango)" in soundtrack: Grace Jones, ed era il 1981.
3 anni e 12 mesi fa