Toglimi il pane, se vuoi, toglimi l'aria, ma non togliermi il tuo sorriso.
Non togliermi la rosa, la lancia che sgrani, l'acqua che d'improvviso scoppia nella tua gioia, la repentina onda d'argento che ti nasce.
Dura è la mia lotta e torno con gli occhi stanchi, a volte, d'aver visto la terra che non cambia, ma entrando il tuo sorriso sale al cielo cercandomi ed apre per me tutte le porte della vita.
Amor mio, nell'ora più oscura sgrana il tuo sorriso, e se d'improvviso vedi che il mio sangue macchia le pietre della strada, ridi, perché il tuo riso sarà per le mie mani come una spada fresca.
Vicino al mare, d'autunno, il tuo riso deve innalzare la sua cascata di spuma, e in primavera, amore, voglio il tuo riso come il fiore che attendevo, il fiore azzurro, la rosa della mia patria sonora.
Riditela della notte, del giorno, della luna, riditela delle strade contorte dell'isola, riditela di questo rozzo ragazzo che ti ama, ma quando apro gli occhi e quando li richiudo, quando i miei passi vanno, quando tornano i miei passi, negami il pane, l'aria, la luce, la primavera, ma il tuo sorriso mai, perché io ne morrei.
O dolce usignolo che ascolto (non sai dove), in questa gran pace cantare cantare tra il folto, là, dei sanguini e delle acace; t'ho presa - perdona, usignolo - una dolce nota, sol una, ch'io canto tra me, solo solo, nella sera, al lume di luna. E pare una tremula bolla tra l'odore acuto del fieno, un molle gorgoglio di polla, un lontano fischio di treno... Chi passa, al morire del giorno, ch'ode un fischio lungo laggiù riprende nel cuore il ritorno verso quello che non è più. Si trova al nativo villaggio, vi ritrova quello che c'era: l'odore di mesi-di-maggio buon odor di rose e di cera. Ne ronzano le litanie, come l'api intorno una culla: ci sono due voci sì pie! Di sua madre e d'una fanciulla. Poi fatto silenzio, pian piano, nella nota mia, che t'ho presa, risente squillare il lontano campanello della sua chiesa. Riprende l'antica preghiera, ch'ora ora non ha perché; si trova con quello che c'era, ch'ora ora ora non c'è... Chi sono? Non chiederlo. Io piango, ma di notte, perch'ho vergogna. O alato, io qui vivo nel fango. Sono un gramo rospo che sogna.
Allora... in un tempo assai lunge felice fui molto; non ora: ma quanta dolcezza mi giunge da tanta dolcezza d'allora! Quell'anno! Per anni che poi fuggirono, che fuggiranno, non puoi, mio pensiero, non puoi, portare con te, che quell'anno! Un giorno fu quello, ch'è senza compagno, ch'è senza ritorno; la vita fu vana parvenza sì prima sì dopo quel giorno! Un punto!... così passeggero, che in vero passò non raggiunto, ma bello così, che molto ero felice, felice, quel punto!
Fissa questa manciata di bellezza su questa tavolozza non si sa mai potrebbe essere finale
oppure lasciala è il paradiso e poi velluta imeni suoi globi dei tuoi occhi
o sul ponte di Butt arrossisci di vergogna la mista declinazione di queste mammelle rizza la tua luna tua e soltanto tua su su su fino alla stella della sera svieni sull'archi-gassometro garofano fresco di Misery Hill svieni sulla piccola rossa casa di preghiere qualcosa cuore di Maria il Bull e il Pool le gettate che non si incontreranno mai almeno in questo mondo
invece sfreccia tra i fusti caracollanti rovescia il ponte Victoria bravo rallenta striscia giù per Ringsend Road Irishtown Sandymount cerca trova il Fuoco dell'Inferno gli AppartamentiMerrion segnati da un trilione di sigma il Dito di Gesucristo Figlio di Dio Salvatore ragazze sorprese mentre si spogliano bravo sul frangiventi e onde di Bootersgrad la marea pànico dei gabbiani bigi le sabbie si smuovono nel tuo cuore caldo nasconditi non nella Rocca non ti fermare non ti fermare.
Se non puoi essere un pino sul monte, sii una saggina nella valle, ma sii la migliore piccola saggina sulla sponda del ruscello. Se non puoi essere un albero, sii un cespuglio. Se non puoi essere una via maestra sii un sentiero. Se non puoi essere il sole, sii una stella. Sii sempre il meglio di ciò che sei. Cerca di scoprire il disegno che sei chiamato ad essere, poi mettiti a realizzarlo nella vita.
Datemi una notte e per amante La Venere della piccola fattoria di Milo! O se per un'ora una statua antica Si ridestasse alla passione e io potessi Scuotere l'Aurora fiorentina Dalla sua muta disperazione, Mischiarmi a quelle membra, ritrovare In quel petto il mio rifugio.
Faccio tutto ciò che posso perché il mio amore non ti disturbi, ti guardo di nascosto, ti sorrido quando non mi vedi. Poso il mio sguardo e la mia anima ovunque vorrei posare i miei baci: sui tuoi capelli, sulla tua fronte, sui tuoi occhi, sulle tue labbra, ovunque le carezze abbiano libero accesso.
Ci sono cataloghi di cataloghi. Poesie su poesie. Ci sono drammi su attori recitati da attori. Lettere in risposta a lettere. Parole che spiegano parole. Cervelli impegnati a studiare il cervello. Ci sono tristezze contagiose come il riso. Carte nate da carte macerate. Sguardi veduti. Casi declinati da casi. Fiumi grandi per il copioso contributo di piccoli. Foreste infestate da foreste. Macchine destinate a produrre macchine. Sogni che all'improvviso ci destano dai sogni. Una salute di ferro necessaria a riacquistare la salute. Scale che portano giù come portano su. Occhiali per cercare occhiali. L'inspirazione e l'espirazione del respiro. E ci sia anche, almeno di tanto in tanto, l'odio dell'odio. Perché alla fin fine c'è l'ignoranza dell'ignoranza. E mani ingaggiate per lavarsene le mani.