Sola, rincorsa dagli affanni di vita consortile hai chiuso in un cassetto quel sogno giovanile. Secchi petali di rose, tra pagine ingiallite, riportano alla mente la nostra prima lite.
Problemi familiari vissuti con coraggio, nel silenzio, per superare il peggio. Il sonno dei bambini a farti compagnia mentre lo sposo tuo lavora e resta via.
Scolastiche emozioni riaffiorano alla mente ti recano sollievo nell'attimo fuggente. Frammenti del passato, canzoni di Battisti, trasmettono calore ai tuoi momenti tristi.
Ripensi a spiagge bianche, ad un immoto mare, ove la mente tua si lascia naufragare. Ed io che sto lontano ti immagino vicino, dopo una pioggia estiva, seduti sotto un pino.
I lidi più segreti, le sabbie più dorate, vorrei che insieme a te venissero violate. Respireremo uniti, non resteremo muti, per tutti quei momenti ancora non vissuti.
La notte allora scenda, amica come il giorno, insieme parleremo di ciò che ci sta intorno. E se anche in quel tempo io ardo, se tu bruci, come potranno le tenebre non divenire luce?
Passeggiamo senza stancarci lungo questa vivace Promenade (o "Tayelet", come la chiamano in ebraico), dove la vita cittadina pulsa di continuo. Lungo questo pavimento chiaro di pietrisco, punteggiato di palme, resocontiamo la nostra proficua giornata di lavoro. A piedi nudi assaporiamo quella sabbia finissima e quel mare cristallino mosso dalla rinfrescante brezza del Mediterraneo... La notte scorre veloce, animata da una gioventù che balla e sorride nei "beach-side cafes", dove l'aria è ancora calda degli ultimi raggi del tramonto.
Tel-Aviv's Promenade dove ci sediamo volentieri su un lido, attorno a tavoli bassi, per gustare una birra fresca e rimirar le spumeggianti onde che bagnano la spiaggia fino all'antico porto di Jaffa e quelle vecchie case sparse tra lussuosi alberghi, sfavillanti di luci rosse e gialle...
Il cuore di Tel Aviv non si ferma mai lungo questa Promenade dove la notte seduce tutti: turisti, coppie innamorate e appassionati di jogging...
E tra le fragranze marine portate dal vento, noi consumiamo il nostro piatto di Humus, insieme ad odorose erbe di giardino e vegetali freschi sminuzzati...
La notte passa presto a Tel Aviv, (in ebraico la "Collina di primavera" ), la città che non si ferma mai, un caleidoscopio di culture e tradizioni che difficilmente potrò dimenticare...
Non dire che il tempo ha cancellato i sentieri ameni del passato, quando tra i sassi di un selciato erboso riluceva quel viso tuo gioioso...
Non dire che non hai più il calore dei giovanili ardori, e il cuore è preda dei tormenti al primo soffio languido dei venti...
Non dire che soffri per la figliolanza la dura prova della senescenza: tu sei il fiume che scorre nelle vene, che smuove le radici e scava le golene...
Non dire che il dolore ti ha piegato e il corpo è stanco e rassegnato: tu menti e dal guardo tuo profondo riluce, forte, l'amore per il mondo...
E allora muovi ancora le tue mani, lasciandole frugare tra i capelli, e prova ancora l'emozione di un brivido notturno sulla pelle...
Scrivo per chi un giorno vorrà leggermi e sentirsi rinfrancato. Scrivo per i miei figli, perché la sera non si sentano mai soli, perché non ritengano che tutto gli sia dovuto, perché credano in una società dell'essere, piuttosto che dell'apparire. Scrivo per chi ritiene che la vita sia troppo bella per essere vissuta in due. Scrivo per la mia donna perché con Lei mi sono sentito importante. Scrivo per chi si sforza, nel quotidiano, per sopravvivere. Scrivo per chi pensa che l'autostrada sia sempre la via migliore da seguire ed evita sistematicamente i sentieri di montagna e le strade di periferia. Scrivo per chi crede che l'aria di campagna sia fatta solo di buoni odori. Scrivo per chi è convinto che nella vita ci siano sempre risposte definitive. Scrivo per chi si sente solo, per chi si perde nella selva della vita ed in mezzo a tanto strazio non trova vie d'uscita...
Domani torno in Italia al termine del mio lavoro. Lascerò un poco del mio cuore tra le vie di Città del Cairo, il più grande centro abitato di un'Africa che merita sorte migliore...
"Al-Qahira", che significa "la vittoriosa", è l'immensa capitale dell'Egitto, una città che non ha mai smesso di crescere, coi suoi vicoli e le viuzze dei quartieri popolari...
Cupole e minareti spuntano nella bianca foschia di un mattino d'autunno, mentre in lontananza le piramidi di Giza, raccontano solenni una Storia millenaria!
Dal balcone del mio albergo, guardo per l'ultima volta il Nilo che scorre lentamente trafitto dal luccichio del sole, mentre l'aria del mattino comincia a riempirsi col suono dei minareti, le voci dei venditori, il frastuono dei clacson e gli odori delle cucine...
E mentre chiudo la finestra del mio balcone, il cuore mi si stringe rimirando per l'ultima volta l'imponenza delle Piramidi, e questo immenso fiume che lentamente scorre...
Fascinose cime che s'ergono selvagge su rustiche valli, tra il verde frascame, l'umide zolle e gli aspri dirupi...
Gelide polle, tra bianchi scogli, s'allungano pei ripidi sentieri, tra lo stormir di fronde al sibilo dei venti...
Antiche sonorità serali riecheggiano dai borghi: lo scampanìo d'un gregge, i fischi dei pastori, i cigolanti carri e i secolari canti di contadini stanchi...
Barbe incolte sulle vermiglie gote, rami secchi agli angoli degli occhi, mani incallite da consumate vanghe. Al fianco le dignitose donne, compagne nel lavoro, compagne nella sorte...
S'allargan le narici al fiuto di tabacco, s'innalzano nell'aria girandole di foglie, annega tra le rocce il sole all'orizzonte...
Rintocchi di campane raggiungono i crinali, mentre la sera soffia sul fumo dei camini...
Percorso dai sussulti è il cor della zitella che occhieggia sovra l'uscio in speranzosa attesa...
Brevi furono le sue stagioni, grande il suo amore per la vita, quando il sole bruciava le spighe e le rondini volavano alte sui campi spettinati dal vento.
Era un tempo d'aquiloni, di tramonti spesi in allegria, di corse pazze giù per i pendii. Su quella bici, respirando il cielo, assaporò la sua fiaba di fanciullo.
Ma il fato pose la parola fine all'innocente brama di carezze e con l'arrivo delle prime piogge quell'esile fuscello scolorito tornò alla terra senza dare fiori.
Fremiti di foglie lungo il davanzale e giocattoli senza più un padrone restano a guardia della stanza vuota, mentre l'acqua lacrimando scorre sopra i vetri di una finestra fredda.
Strisce d’asfalto bruciate dal sole dove consumi le quotidiane noie. Strade bagnate, vissute al mattino, in compagnia dei tuoi pensieri e certe storie che non hanno fine. Curve, salite, discese, frenate sulle note di una vecchia canzone: quante volte hai premuto il pedale rincorrendo invano quel sogno che ti cambi d’un colpo la vita…
Strade statali battute dal vento, sul finire di un’altra giornata, tra quei fasci di luce accecanti che divorano stanche pupille immerse nel nulla del buio serale. Strade deserte di periferia, tra terre incolte, prive di vita, dove trovi lungo il selciato fiori secchi, senza profumo, col capo reclino sull’esile stelo.
Strade d’autunno, ricolme di nebbia, dove il respiro manca e t’accorgi d’esser solo. Strade di vita che prima o poi percorreremo tutti…
E mi sovviene ancor nella memoria la voce di un'impavida maestra che mossa dal suo senso del dovere mi conduceva in classe a dire versi... Ricordo la chiamavo "signorina", malgrado i vezzi bianchi sulla chioma, e dentro quattro mura un po' annerite mi preparava ad affrontar la vita!
Il freddo dell'inverno era passato con le gelate e i segni sulle gote che ancor cercavano rifugio nel morbido tepor delle sue dita. Portava camicette di cotone con dei ricami al passo di stagione e mi colpiva l'odorosa trama di candeggina e fiori di lampone.
La mano sempre sporca di gessetti, che manovrava con un fare accorto ad evitare di sentir le lagne di chi soffriva, con la pelle d'oca, la stridula scrittura su lavagna...
Ricordo quando entrava il direttore, e gli mostrava i nostri quadernetti, barchette senza remi alla deriva d'un mare che spiaggiava per l'affetto...
Poi ci portava fuori a primavera per liberare sogni di fanciulli, e l'aria tersa s'inondava d'un canto che graffiava le tonsille.
Pesanti come pietre quei ricordi: un alfabeto che costeggia i cigli dei giorni nostri divenuti tristi per noi che ci sentiamo sempre figli!
Era una maestra... Ma quando il cor s'infiamma, per tutti noi rimane una seconda mamma!