Nel rasserenante paese abitato da mordenti desideri nella piazza del cuore come usavo fare da fanciullo delle zolle di zuccherò vorrei comprare e per un po' addolcire l'acre malinconia che oggi mi tiene compagnia. Al banco dei canditi sogni con un tronchetto di liquirizia rifarmi vorrei l'anima e assaporare il frutto raro che afferra il dolce senso del ghiotto davanti a una gremita fruttiera. Uomo, chi vorrebbe che il cuore al dolore si torcesse e la tristezza amara l'anima facesse? Ma se chiusa è la credenza di golose dovizie, se la chiave non hai e non credi al miracolo che infranga il vetro blindato che dalla felicità ti separa, se non disponi di un grimaldello solo fantasticare sull'ultimo fico secco ti rimane! Sull'inaccessibile contenuto che il cristallo dei sogni ti mostra appena azzardi qualche fantasia, aspetti che arrivi il sonno sedativo che anestetizzi le papille gustative e a tacere metta le tua brame. Poi quando ti risvegli, ciò che vedi è solo il vuoto, sospeso nel vuoto le ali non servono: mancano le correnti ascensionali! Così, davanti alla delusa mira a ruotar, te ne resti in moto circolare.
Più non si riprodurrà per me l'avvicendarsi di avvenimenti lieti e tristi un giorno; tutto resterà intatto alle mie spalle: la vita quotidiana della gente il ridicolo universo, le distanze. -Vale la pena di vivere? - è la domanda schiacciante che mi si presenta davanti ogni alba. Qual è la risposta? Quante logiche astruse a sostegno di un'esistenza edace che dilegua! Eppure non so rispondere al rebus se assisto ad accasci di speranze e sventro nasciture illusioni. Esposto al dubbio che si addensa e si spalanca interrogo l'oroscopo: nella sfera di vetro divinatoria frammentario si mischia passato e futuro; non vi è collante che faccia presa né evoluta che a qualcosa adduca; mi guardo nel cuore, la poca luce mi inclina cedo, salto tra cielo e abisso; in sosta sull'orlo dello stupore nulla fiuto dall'incurante tempo per proteggermi dal peggio. Senza un chiaro senso, per abitudine, ancora per un frangente, spinto dal vento delle passioni verosimile continuerò a viaggiare; senza insegne di esultanza tremante aspetterò un segnale da un viso senza volto: qualcuno busserà la prima e l'ultima volta. Poi, stramazzato resterò muto: si acclarerà un nulla al cospetto del mondo ad onta di quel che senza volerlo. Pur fui.
E vorrei gridare al mondo quello che sono, quello che sento, quello che provo, quel pensiero che giorno dopo giorno, ora dopo ora, minuto dopo minuto percuote la mia mente... Così: instancabilmente, incessantemente, irripentibilmente... E vorrei gridare al mondo, sentirmi libera, libera di volare... Sì... ogni tanto fa bene volare... E vorrei conoscere nuovi orizzonti, nuovi cieli, nuovi abissi... E sì vorrei gridare al mondo "anche io ce l'ho fatta"... Ma ecco, appena le mie labbra si schiudono qualcosa mi catapulta nuovamente giù... Sì, questo mondo è troppo sordo...
Sì, è proprio vero, quando sembra che la tua anima stia per librarsi, ecco che quell'uragano si ripresenta ai tuoi occhi, sì... così tempestivo, impulsivo, imperterrito... E ti prende, ti trascina via, ti porta in abissi infernali... E la tua mente si oscura, i tuoi pensieri si confondono, la tua anima si spegne... Si spegne di quella luce che aveva donato le ali ad un animo terreno...
Il canto delle fronde dell'albero cheto, il fremito della vita, nel bosco smeraldo, come vento hanno spazzato il pensiero lieto della dama tra le canne, del suo sguardo spavaldo.
La rabbia dell'onda che infrange lo scoglio, esso non morirà, resterà sepolto, dolente guardiano sul mio cuore veglio, l'anima segnata porterà sempre il tuo volto.
Tra i passi incerti sfrigolano le bronzee foglie, tra la spuma che sprizza avanza dolente il lupo, sulla strada di grigi ciottoli si accascia la moglie, il vento ha parlato fra le canute canne, ora sferza il nero dirupo.
E sto quì ascoltando ciò che ci accumuna, ascoltando quelle parole impresse ormai nella mia mente, e che vorrei fossero realtà... E sto quì, fra i miei sogni, li vedo... sì sono proprio lì... a un passo dalla mia mano eppure non riesco ad afferrarli... E sto quì, tra lacrime e sorrisi, disegnando il tuo volto nei miei pensieri, cercando di renderlo sempre più indelebile... E sto qui per vivere dei tuoi sguardi silenziosi, dei tuoi sorrisi nascosti, del tuo essermi indifferente e dedito allo stesso tempo, del modo in cui mi fai sentire per vivere di te... E sto quì, sperando in un nuovo miraggio che solo una tua parola potrà darmi...
Giungi dall'Est per me così lontano come un fragile ma indomito uccello migratore
Vuoi sfuggire ai tuoi passati tormenti e trovare nuova linfa per la tua giovane vita
O forse sei qui alla ricerca della via eterna per la tua anima perduta
Il tuo sorriso incanta il mio animo attento
Le tue buffe confusioni son dolci note per la mia ferrea logica
La tua gioia di vivere mi avvolge in un dolce abbraccio foriero di calde sensazioni
Ed è per questo che le rigide porte del mio cuore cedono inesorabilmente come un forte ben armato ma pur sempre indifeso alla forza debordante di un grande esercito
Ma a volte, si sa, la vita è crudele e ti dà ciò che ripugni e ti toglie ciò che ardentemente desideri come in un pazzo e scellerato gioco senza senso
E quindi siamo qui a contemplarci solamente le nostre virtù nella ormai inesorabile certezza che mai un domani saranno completamente condivise dalle nostre anime e dalle nostre menti.
Buona fortuna comunque mia piccola grande Natasha.
Quando vetrina di cristallo puro incontaminato mi mostri, Mare, un cosmo di sconosciute creature, quando lampeggiano riflessi di vitree scaglie o spume o in un video immaginato zampilli i tuoi giganti esplodono, quando percorro l'offesa piaggia al morir di un mareggio e mi imbatto in carcasse di conchiglie o stracci di fondali o in uno sparuto osso di seppia stupito allor mi sovvien che nella notte dei tempi da te, principio equoreo, un giorno emersi uomo. Ah quante volte rapito familiare il tuo palpito riascolto come ai tuoi ritmi che di improvviso mutano altezza e tono mi abbandono! Come seguo il lacerarsi dello smisurato telo d'azzurri ad ogni strappo di vento; come ti sciorina l'insulto dei nembi al sopravvenire di una bufera! E il tuo viso che si corruga all'insorgere di un delirio lontano, le nivee frange che attaccano e devastano lidi, i getti di pulviscoli cristallini che spezzano lo sguardo all'orizzonte levato, il risucchio rabbioso di bocche ebbre al dilatarsi dei tuoi polmoni, gli scompigli di ectoplasma, i bollori di salsedine che si scagliano su venati ciottoli di riviere: cancellazione di battigie, rovesciar di scafi, affondar di navigli! Oh calma divina quando stremato in bonaccia ti assopisci in un accadere nullo! Incessante viver il tuo che ti rinnova sotto lo sguardo di un sole passante che si specchia e dilegua al passo dell'ora. È in questa immensa tua statura che un piccolo me accresciuto si ritrova che più gagliardo un sangue ritorna e mi ricaccia nel giogo della vita persuaso da richiami ineludibili giunti da fraseggi di altri sogni...
Solitario vagabondo senza fato, tu solo hai visto lo splendore delle bianche luci, candide vie degli esseri dolenti segnati dal marchio porpora dello sguardo fiero, azzurrina luce dei suoi occhi stanco e malfermo avanza il suo passo, montagna scossa dalle grandi radici la cui cima nera non comprende e nell'ovattato silenzio attende il mediatore, che dorme fra gli spiriti sorriso dal sole.
All'ombra di un albero solitario aspetto il Bibi del villaggio. La sua risposta mi viene da lontano da un mondo abitato da persone piene di sapienza e poche parole.
Immobile scrutava l'aria del mattino posata sui fiori del mango secolare. Un tucano batteva il suo becco richiamando la notte nella tana.
Lo guardai racchiuso nel silenzio. Non ruppi il suo segreto. Era un vecchio che parlava coi morti consultando l'oggi, ieri e il domani.
All'ombra di un mango mi fermai ascoltando il Bibi che parlava. La sua voce limpida di silenzio mi riempì il cuore e mi lasciò contento.