Poesie personali


Scritta da: Ilaria Mondani
in Poesie (Poesie personali)
Ricordi, Elvira, la giornata lieta?
Sembrava primavera. Quanto sole!
Percorremmo il viale senza meta
credendo di trovar le viole.

Poi ci sedemmo. Due lucertoline sembravano sul ciglio della via in cerca di tepor fra le spine.
Ti stringevo la mano nella mia.

E baci e morsi sotto il cielo azzurro, dolci parole, brividi d'amore!
Tu mi dicevi: t'amo, in un sussurro ed io mi abbandonavo sul tuo cuore!

Fra i tanti baci che ci demmo a mille,
fra le carezze che ci femmo a cento
ridevamo, guardando le pupille che farci eguali il cielo fu contento.

Lieti in volto, felici a passo lento
poi ritornammo l'un dell'altro pazzi.
Miracolo d'amor, quale portento!
Elvira mia, sembravam ragazzi!

Valera, 30 gennaio 1944
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    Scritta da: Sergio Rossi
    in Poesie (Poesie personali)
    Nella mia mente
    follia di un odore di primavera.
    Nell’aria il Sole
    circonda le mie parole…
    Giorno per giorno
    cerco di planare oltre le nuvole.
    scorgendo al di là dell’orizzonte
    tuttora il fresco colore
    dei tuoi occhi….
    Poi approderà ancora il buio della notte
    per truccarti in un desiderio,
    tra le distanti stelle
    il tuo aroma tra la mia pelle…
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      Scritta da: Sergio Rossi
      in Poesie (Poesie personali)
      Guarda una nuvola che
      nasconde i raggi del Sole,
      osserva un ricordo senza parole,
      una goccia di lacrima
      solca il tuo viso…
      senza un sorriso
      ti agita la mente
      scosso il tuo cuore.
      Guarda una nuvola che
      nasconde i raggi del Sole,
      e la tua pazienza
      ti porterà a veder le stelle...
      Ti sveglierai illuminata
      Dai raggi del Sole
      Tutta la tua pelle.
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        Scritta da: Luciana Zaccaria
        in Poesie (Poesie personali)
        Angoscie... ansie tormenti...
        emozioni... mi perdo in queste e... cado nel vuoto del tuo gomitolo...
        Non so dove sono, in quale parola...
        Non me lo dirai mai.
        Ma resterò appesa a quel filo, fino alla fine,
        oh sì... sempre...
        giullare attento alla bellezza del tuo cuore...
        Zitto, attento, e pronto.
        Sì... in una piega della tua vita.
        Certo ch'è difficile capire.
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          in Poesie (Poesie personali)

          Sotto il cielo di Aspalathos (soliloquio di Diocle al palazzo di Salona, A. D. 313)

          Sono qui, alle finestre dei miei appartamenti, e porto lo sguardo verso il monumento di otto lati in cui thanatos mi porterà. Pari ad un'ombra negli Inferi, vago solitario tra queste mura, sospirando dovunque il mio passo si fermi: senza più vergogna per le lacrime che verso, le tempeste dentro me, voci senza fine che circondano i miei anni. Ho visto spegnersi nel mio ritiro, come lampi, come scintille, come torce dentro l'acqua la gente di una vita, i progetti di un'età. Ho visto spegnersi il mio nome e me con esso: anni di porpora, tempi di sangue che non avrei voluto versar mai... Io Diocle, che non sapevo cosa fosse una sconfitta aldilà che in delle guerre, io, Diocle, che volevo perfezione in ogni atto... ed ora qui, qui dove nacqui, spettatore sono delle mie disfatte, di ingratitudine, di tradimenti... Costantino, che come Alessandro va per le battaglie, Costantino, così superbo, cosa vuole? Il suo valore altro non è che eredità, altro non è che un segreto appreso al fianco mio... e ora da lontano mi disprezza e mi maledice, mi umilia distruggendo i miei ritratti... infieriscono le sue spade sui volti miei e di Massimiano! Oh, tu, Erculeo fortunato lì nell'Ade, non hai più orecchie per sentire, nè più occhi per vedere, nè più cosa che ti offenda, tra le anime che errano. Ma stolto in terra hai vissuto la vecchiaia, tu, socio di una vita, tutto sordo ai miei consigli: strangolato dalla tua sconfitta, soffocato da una morte che tu stesso, avido hai cercato.
          Galerio, la forza nè il valore ti mancava, pastore di greggi e poi soldati, accecato d'arroganza e di superbia... E in Persia, ricordi la vittoria? Non fu che per mia mano: un miglio intero ti feci percorrere accanto alla mia biga, di corsa coi tuoi piedi e la porpora indosso... ti umiliai così innanzi alla folla pur di farti riprender la battaglia, pur di non farti più prendere da nuove sconfitte, come quella che subisti... e colpito nell'orgolglio tu vincesti. Spesso approfittasti dei miei mali, dei miei pensieri... sete di potere ti corruppe, rodendoti come il male che alla morte ti ha portato.
          Cloro, vecchia spalla: governatore di Dalmazia, vincitor della Britannia, sei caduto troppo presto. Cosa avresti fatto in questi anni? Costantino è la tua colpa: lui opportunista, traditore di compagni e di parenti, ingrato al suo maestro, astuto trascinatore di folle... ed io umiliato a causa sua, ormai vivo nella morte. Prisca, mia Augusta, per mano di Licinio, giace il tuo corpo dentro il mare, tanto inquieto quanto me. Tu che mi eri accanto, vicino mi venivi per disprezzo, cosa dici ora, tra le ombre? Incapace sono stato di salvarti, troppo debole ormai per i potenti... Valeria anche tu sei nel mare, con tua madre per sempre lì dormendo. Di Galerio giovane vedova, che seduzione di altri non volesti, che mai cedesti ai ricatti di Massimino... Massimino che dette a te l'esilio, e forte tu lo sopportasti. Quanto in me tu confidavi, e chiedendo di salvarti, ahimè ti ho delusa. Ti ho delusa, figlia mia. Ma ormai sapevi quanto io contassi poco.
          Massimino che sconfitto, giù a Tarso sei fuggito. Lì nascosto, vile hai affrontato il tuo destino, a Thanatos consegnandoti con il veleno. Massenzio, ora a Roma sei annegato, di Costantino il ferro ti ha sconfitto... poco sei valso innanzi a lui, e da tiranno hai passato la tua vita.
          Severo, anche tu te ne sei andato come neve sotto il sole, anche tu sei morto nella guerra... ed io sono morto, morto solo perché in vita. Ferite senza sangue, nell'orgoglio e non nel corpo. La mia fine ormai è venuta, vecchiaia di amarezza ormai mi prende... progetti miei andati nel fumo e quella pace da me creata... ora anch'essa è morta, da guerre civili ormai distrutta.
          Pericoli ho tentato di fermare, senza esito, senza successo... inutile il mio dovere, da maestro io ho fallito.
          Successori, l'uno contro l'altro come cani che si azzuffano, tutto quanto e anche troppo ho sopportato. Il potere solo ansia fu per me. Cosa vedono in esso gli altri? Porpora non è come un bottino, il trono non è soltanto un vanto, l'esser capi non è per sè, ma per il bene di un dominio. Cosa è che loro vedono? Vogliono fama e solo questo... e Massimiano arrivista, primo avesti questo pensiero: e venisti a ripropormi il poter che ho abbandonato. Ma felicità per me non era quella, solo gli orti del palazzo mi celavan le inquietudini... volli dirtelo ma non capisti, volli esporti le mie gioie, ma tu testardo continuavi. Io lontano dai pericoli, mai più di qui mi sono mosso, nel ritiro sono rimasto ed in esso, promisi, sarei morto. Vanno via i miei pensieri, più nessuno fa il mio nome, la sventura che ritorna... Cristiani, che di continuo predicando ve ne andate, troppa ormai la vostra forza... e per sempre anche sconfitti canterete la vittoria, ché inespugnabili vi ha reso la follia. Contro di voi inutile lotta, di me e di chiunque dannerete la memoria.
          E tu padre, vecchio scriba di Dalmazia, ahi te madre, che nome mi desti di terra natale, Anullino senatore, che da liberto accanto mi tenevi... Quale orgoglio avreste avuto lì a vedermi, sul trono splendente come un astro... e quale amarezza avreste ora, a vedermi qui così, grigio e spento come cenere, che il vento via con sè trascinerà.
          Dagli sbagli miei ormai distrutto, dei miei compagni senza gloria sono l'ombra... di me ormai nulla più vedono, di me ormai nulla più curano, e sono qui alla morte ormai pensando, come nubi dicembrine oscura la mia anima il dolore... senza pace ormai io vivo!
          Ipnos, che mi abbandoni, mai più su di me tu ricadrai... troppo forte ormai il tormento, dell' Impero nuova morte, troppo forte ormai amarezza...
          Thanatos, che tu mi senta: senza sangue nè veleno voglio scendere nell'Ade, che la fame mi consumi, ma ormai più non la sento...
          Vita che con te, troppo tempo mi hai tenuto: crudele la fine mi hai mostrato e di me cosa ne hai fatto? E di me cosa ne è più? Tra le ombre solamente, nell'eterno errando senza meta, forse pace mi sarà. Ed i vecchi miei compagni senza riconoscere guarderò, porfido di un letto eterno il mio corpo celerà... Thanatos tu solamente sofferenza scaccerai. Ad attenderti sarò tra queste mura, tra queste lacrime, verso il mar sempre guardando, di echi e di voci ormai sommerso, del popolo ingrato ormai memoria... ad attenderti sarò senza rimorso, nè paura del tuo nome.
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            in Poesie (Poesie personali)
            Mia cara donna,
            ti scrivo, perché sei tanto lontana, da non più udire la mia voce;
            da quando il moderno vento spazza via i sentimenti, mi trascino nell'essere, svuotato del tuo sostegno;
            il tuo volto si è coperto di un velo che ne sbiadisce i tratti e alla luce del giorno, non si chiariscono i ruoli.
            Mia cara,
            distante è il tempo dei tuoi semplici gesti, barattati con voglie di diverso profilo;
            distante è il tempo del focolare, poiché distratta da nuove passioni, non già alimenti il fuoco dell'amore.
            Mia cara donna,
            sbandato in una folla di sbandati, inutilmente ti cerco, e tendo la mano elemosinando il tuo sguardo;
            vago è il ricordo del tuo mutevole aspetto;
            sfumata l'essenza dell'aria che respiro.
            Di te mi mancano i bianchi capelli, annuncio del nascere di un'era;
            di te mi manca l'abbraccio di vita, quando questa vuol fare a meno di sé;
            ti prego torna... torna com'eri!
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