L'amore s'accende intorn'a un falò e si spegne sotto un acquazzone. Nel genere teen movie, queste sono le cose che piacevano a mia madre ("Il tempo delle mele", Claude Pinoteau, 1980): un manuale d'istruzioni per ragazzine adolescenti sul più irreale dei romanticismi. Per chiunque altro, quasi una farsa da incubo. Almeno è salvabile l'idea ch'il vivere in un assoluto presente non sia per libera scelta ma per reazione automatic'a un passato già traumatico.
"Il film si rivela dichiaratamente come un family movie dai toni fiabeschi, mai volgari": a certi recensori bisognerebbe fare l'antidoping. Sarebbe stat'il miglior lavoro di regista e cast grazie alla sua vena surreale, poi ruzzola sull'eleganza di colonscopie e zooerastia.
Se per raccontare la storia d'un supereroe gli sceneggiatori saccheggiano quelle di re Artù e Pinocchio, è meglio cambiar mestiere. Qualch'idea e qualch'emozione solo nell'ultima mezz'ora, dopo due ore di troppo.
Rovere si crògiola nella derivatività infettato dall'idea postmoderna ch'il citazionismo sia un valore e non un difetto, un pregio e non un deficit creativo. Gli spettatori possono divertirsi (?) a individuare le (oltre) 50 sfumature di splatter citate, ammiccate, omaggiate, partendo da "Cannibal Holocaust" dell'80 e proseguendo "ad libitum". Il film, allora, si riduce a pretesto per l'individuazione dei suoi referenti, mentr'abbozza una mitopoiesi emotivamente spompàta e il kolossal da epica shakespeariana affonda già durante lo tsunami dell'incipit.
Anche gl'adolescenti (odierni e benestanti) piangono. È un bene che pure loro si liberino da oltreomistici deliri d'onnipotenza e riconoscano la propria costitutiva fragilità, vulnerabilità, infermità. È un male ch'il regista confini ciò nell'ambito d'una specifica patologia medica invece di farne un (per ora) ineluttabile discorso universale. Superflui gl'ammiccamenti alla psicologia d'Harlow e al dramedy shakespeariano; fastidioso il superficiale approccio ideologico ("la vita è breve, goditela").
Pablo Larraín ("No - I giorni dell'arcobaleno", 2012) trasferito dal Cile in Uruguay e integrato con la prospettiva d'un evergreen come "Papillon". Il picco emotivo giunge sulle note di "The Sound of Silence" arrangiata e interpretata da Sílvia Pérez Cruz. La magia e il mistero pervadono l'audiovisivo.
Ps: il titolo è sbagliato. "Una notte di 12 anni" e non "a".
Due fuoriclasse della nostra commedia reggon'un film che si dissolve quando prov'ad aprirsi alla coralità dei comprimari res'insignificanti dalla sceneggiatura, un buddy movie simpatico rovinato dall'incapacità di fornire spessore all'ambiente di contorno. Comunque è piaciuto a un pubblico ormai assuefatto a standard mediocri.
Eccelsa maestria "classica", prima com'attore e poi anche come regista, però sempre nelle mani sbagliate poiché Eastwood non ha mai avuto granché da dire. La sua poetica, ideologia o filosofia estetica, termini ormai fuori uso e rimpiazzati dall'insulsaggine di artsy o stilish, è rimbalzata di continuo fra gl'imperdonabili difetti di conservatorismo, patriottismo, qualunquismo, egocentrismo. Vedend'il bicchiere mezzo pieno, è stato incensato e osannato. Io ho visto quello mezzo vuoto.
Ps: il titolo è sbagliato. "Una notte di 12 anni" e non "a".