Iella da ragazzino ebbi per mano e grandicello pur per man mi tenne e, poi, quando mia gioventute venne, puranco allora mio reagir fu vano.
Allorquando scansare essa volevo, più fortemente a presa mi teneva e ancora più forte a essa mi stringeva mentr'io contro essa sempre più mordevo.
Stretto mi tenne da bambino a vecchio, mai seppi chi m'aggravò di tal malocchio, or che m'appresto a varco d'ultimo guado lascio che vada come ad essa aggrada.
Or quando il danno la tua vita tange ed a nessuno puoi addurne il danno, al fato riportar puoi tutte frange che sol'esso a vita dà sì tant'inganno.
Non ti curar, perciò, di danno e inganno, prosegui per la via irta e spinosa ché quello da portare è il tuo affanno; nato non sei a condurre vita gioiosa.
Né conviene tener cruccio entro core, né a fato convien pensiero donare ché quando mala sorte salta fore contro essa nullo pote nulla fare.
La vita che sol triboli mi ha dato, l'amor qual sentimento mi ha insegnato e poiché soltanto in bene essa spendo nato son io per morire cantando.
Sono, pertanto, grato al divin Padre d'avermi dato in uso strada madre, che se anche ho sudato in suo percorso molte di pene ho scosso di sul dorso.
Sono in attesa, ora, dell'ultimo atto, mentre pago canto l'appreso motto: Padre celeste, Iddio dell'Universo fa che Ti giunga, in prece, ogni mio verso.
O campagna dei miei dolci anni verdi che l'animo m'empisti di bontate per tutte tue amabili qualitate disseminate ne li prati verdi.
Tutto di te mi è caro, dolce campagna! Dal fine olezzo di fragile viola, all'incessante frinire di cicala al raglio d'asino e abbaiar di cagna,
L'odor di biancospino e di mortella frammisto a quel di mosto e uva passa, con quel dall'oro che giammai si cessa e quell'intenso della cedronella.
Lo lieve mormorio di fronde intorno, la quiete a frescura di quercia annosa, il tenue venticel che ognun riposa m'invitano se vado, al lesto torno.
E io mi tornerò alla tua dolce quiete giacché qualvolta che a te m'appresso turbamento ch'ò in cor tosto m'è cesso ché in mente è 'l rimembrar giornate liete.
In te ritrovo del gran Dio la pace cinta d'amenità e Sua fulgente face.
Il cuore piange lacrime di sangue ché più chi gli è in amore a esso punge, l'animo, anch'esso, tristemente langue ché non è segno d'amor che a esso giunge.
Pria che su terra lor fossero in vista per lor animi e cuor furo in sussulto, quando che furo, poi, discesi in pista spesso per loro in gola fu singulto.
Or da quercioli son cresciute querce, ma pur stamane ho fatto l'altro sforzo ver loro ch'anno per noi anime lerce e mio livore ancor contengo e smorzo.
L'amor ch'è in petto, si, subisce pene, ma non arretra, no, perché vessato canco pure maggior sprigiona bene anche per chi per lui è crudo e ingrato.
Segna l'inizio assai ben augurante un ciel sereno luminoso e terso che animo e cuore rende esilarante e l'uccelletto innalza col suo verso.
Chi arzillo chi lento e chi calante, chi più disteso, chi in timore immerso la scala imbocca ciascun insegnate purtuttavia, ognuno, in pensier riverso.
Due giovani professori alti e snelli con risoluto fare e lesti gesti, con l'ausilio di ossuto inserviente
assegnano classe ai loro novelli che ad occhi bassi e nei visi mesti seguon confusi lo smilzo servente.