il figlio del destino
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...chiamare".
Alberto provò a richiamarla immediatamente ma in quella zona l'assenza di campo era misteriosamente comparsa. Eppure aveva terminato da pochi istanti di parlare con la segretaria. Il Destino iniziava, nuovamente, a mescolare le sue carte.
La città era letteralmente paralizzata dal traffico dell'ora e l'ansia, in Alberto, iniziava ad assumere proporzioni indescrivibili.
La sensazione era pari a quella che si prova quando si è su una piccola barca: il porto è vicino, lo vedi, ma il vento del maestrale ti allontana dalla riva inesorabilmente. Più è lo sforzo e maggiore è l'allontanamento dalla terraferma.
Eppure è lì, quasi la tocchi con la mano.
La Stazione era vicina come quel porto, ma quel muro di auto e autobus respingeva con la forza di un maestrale, chiunque osasse penetrarlo.
Ecco che, per fortuna, quel sonnecchiante istinto di sopravvivenza fa riaprire gli occhi ad Alberto, indicandogli un varco con un piccolo spazio dove parcheggiare con ovvia imperizia l'auto.
La posizione non era felice, d'accordo, ma il momento non era da meno. Una carezza al tetto del suo cavallo a motore, come per rassicuralo, e via di corsa tra quei pezzi di ferro immobili.
La sua corsa pareva farlo volare e l'aria attorno ... [segue »]
dal libro "Il figlio del destino" di Bartolo Fontana
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